sabato 30 dicembre 2017

GIACOMO GROSSO. UNA STAGIONE TRA PITTURA E ACCADEMIA

Ritratto Femminile, 1929
Olio su tela, cm 175 x 100
Firmato e datato in basso a sinistra
Collezione privata
La mostra dedicata a GIACOMO GROSSO (Cambiano 1860 - Torino 1938) è il secondo appuntamento del ciclo «I Maestri dell’Accademia Albertina», promosso e organizzato dall’Accademia Albertina di Belle Arti e dal Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto, inaugurato nel 2016 con la rassegna su Andrea Gastaldi.
L’esposizione, curata da Angelo Mistrangelo, con i contributi critici di Gian Giorgio Massara, Clelia Arnaldi di Balme e Silvia Mira, si concentra sull’attività pittorica dell’artista, sugli anni d’insegnamento all’Accademia e sulla sua partecipazione ai grandi eventi internazionali.
Allievo di Andrea Gastaldi e poi, per quarantasei anni, docente di disegno e pittura all’Accademia Albertina di Torino, fu Senatore del Regno d’Italia e autore di mirabili ritratti, grazie ai quali ottenne la sua maggiore notorietà.
Ritratto di Ernesto Balbo Bertone di Sambuy, 1912
Olio su tela, cm 50 x 70
Dedicato "Alla Marchesa Di Lesegna – Di Sambuj"
Firmato e datato in basso a destra
Collezione privata
Invitato alla Quadriennale di Torino, alle sociali della «Promotrice» e del Circolo degli Artisti, partecipò per ben quattordici volte con un corpus di cento opere alla Biennale di Venezia, espose a Parigi, Vienna, Dresda, Buenos Aires e in diverse rassegne internazionali. Il percorso espositivo, costituisce l'occasione per rileggere la vita e le fasi dell'intensa attività produttiva dell'autore alla luce di numerose testimonianze, alcune inedite, frutto di un’ampia ricerca biobibliografica e di recenti indagini d'archivio, arricchite da un ricco patrimonio di immagini, scritti e fotografie appartenenti a collezionisti privati.
Le opere esposte, provenienti da collezioni private, Musei e Fondazioni piemontesi e italiane, sono suddivise in quattro sedi istituzionali, ognuna delle quali dedicata all'approfondimento di aspetti peculiari della figura di Grosso: a Cambiano, presso il Palazzo Comunale; a Torino, presso la Pinacoteca dell’Accademia Albertina, il Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto e Palazzo Madama.
Il volto della madre
Olio su tela, cm 63,5 x 50,5
Firmato in basso a sinistra
Pinacoteca dell’Accademia Albertina, Torino (inv. 428)
Nella Sala del Consiglio del Palazzo Comunale di Cambiano il «corpus» di opere e di documenti concorre a delineare la vita e la storia artistica di Grosso a partire dagli studi giovanili, fino alla formazione presso l’Accademia Albertina, dai ritratti dei genitori a quelli dei figli e della moglie Carolina. Tale sezione rivela i momenti salienti di un percorso che nel 1895 raggiunge l’importante palcoscenico della Biennale Internazionale di Venezia, dove il quadro Il supremo convegno farà un tale scalpore da essere condannato dal Patriarca Giuseppe Sarto, il futuro Pio X. Tra le altre opere, emerge anche, imponente e suggestivo, Il Pater Noster.
Il Pater Noster (Sacra Famiglia), 1934
Olio su tela, cm 198 x 271,5
Firmato e datato in basso a sinistra
Palazzo Comunale, Cambiano
Nelle sale della Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti, viene descritta l’opera del Maestro, per decenni titolare della Cattedra di Pittura presso la prestigiosa Istituzione torinese. In questo contesto si ammirano paesaggi e vedute urbane, bozzetti inediti, nature morte, composizioni floreali, ritratti e nudi femminili, tutte opere di assoluto rilievo. Tra esse spiccano La nuda del 1896, conservata alla GAM di Torino, i sontuosi ritratti di Umberto I, della Regina Elena e di Vittorio Emanuele III di Savoia, fino al dipinto su cui Grosso diede l’ultima pennellata poco prima di morire, nel 1938.
Particolarmente affascinante è la sezione «Studium», curata dal Direttore Salvo Bitonti e da Fabio Amerio, che propone la ricostruzione dello studio di Giacomo Grosso sito all'interno dell’Accademia, attraverso le sorprendenti fotografie autocrome stereoscopiche scattate all’inizio del Novecento da Ferdinando Fino, mentre un video, realizzato con la collaborazione di Lino Strangis, racconta il mondo pittorico dell'artista con la tecnica sofisticata e innovativa del «painting motion».
Regina Elena, 1904
Olio su tela, cm 275 x 170
Firmato e datato in basso a destra
Regione autonoma Valle d’Aosta (inv. 2033)
Al Museo Accorsi-Ometto campeggiano i grandi ritratti: personalità della cultura, affascinanti signore dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, tutti raffigurati con sorprendente capacità compositiva ed espressiva. Lidia Bass Kuster (1903), Luisa Chessa (1903), Daisy de Robilant Francesetti di Malgrà (1897), La Contessa Gallo (1918), Eleonora Guglielminetti Vigliardi Paravia (1919), L’ingegner Vittorio Tedeschi (1925) con i loro volti signorili, gli sguardi profondi e i sontuosi vestiti esprimono il senso della ricerca visiva di Grosso e la straordinaria definizione degli interni. Affianca i dipinti una serie di accessori, emblemi del gusto in voga tra XIX e XX secolo: cappelli, ventagli di piume di struzzo, scarpe da sera in raso e guanti in camoscio, provenienti dalle collezioni del Liceo Artistico Aldo Passoni di Torino e due abiti, l’uno parte di una collezione privata di abiti d’epoca, l’altro appartenente alla celebre Sartoria Devalle.
Vaso di rose, 1916
Olio su tela, cm 70 x 50
Firmato e datato in basso a destra
Collezione privata
Courtesy Galleria Il Portico, Pinerolo
Infine, nella Corte Medievale di Palazzo Madama è conservata l’imponente «Cornice d’alcova» di Giacomo Grosso, cornice scolpita e dorata raffigurata in numerosi quadri. Al suo interno è collocata - fino al 23 ottobre - una significativa tela del 1907, la Ninfea, esposta nello stesso anno alla Biennale Internazionale di Venezia.
La mostra, a ventisette anni dall'antologica ospitata alla Promotrice delle Belle Arti di Torino, costituisce, quindi, una nuova occasione di riflessione e di aggiornamento su un «Maestro dell’Accademia Albertina» di indiscusso talento, di altissimo valore tecnico-artistico e dalla rilevante personalità.

I Maestri dell’Accademia Albertina

GIACOMO GROSSO. Una stagione tra pittura e Accademia
Fino al 28 gennaio 2018

MUSEO DI ARTI DECORATIVE ACCORSI - OMETTO
Via Po 55, Torino
T. 011 837 688 int. 3; info@fondazioneaccorsi-ometto.it
Orari: da martedì a venerdì 10-13; 14-18; sabato e domenica 10-13; 14-19; lunedì chiuso
www.fondazioneaccorsi-ometto.it

PINACOTECA DELL’ACCADEMIA ALBERTINA

Via dell’Accademia Albertina 8, Torino
T. 011 08973 7; pinacoteca.albertina@copatitalia.com
Orari: lunedì, martedì, giovedì, venerdì, sabato, domenica e giorni festivi 10-18 (ultimo ingresso alle 17.30); mercoledì chiuso
www.pinacotecalbertina.it

PALAZZO COMUNALE DI CAMBIANO
Piazza Vittorio Veneto, Cambiano
T. 011 944 01 05 int. 6; info@comune.cambiano.to.it
Orari: da martedì a domenica 15-18; sabato e domenica 10-12.30; lunedì chiuso
Ingresso gratuito
www.comune.cambiano.to.it

Fino al 23 ottobre 2017
PALAZZO MADAMA
Museo Civico d’Arte Antica
Piazza Castello, Torino
T. 011 443 35 01; palazzomadama@fondazionetorinomusei.it
Orari: da lunedì a domenica 10-18 (la biglietteria chiude alle 17); martedì chiuso
www.palazzomadamatorino.it

giovedì 28 dicembre 2017

MIRÓ. SOGNO E COLORE

Joan Miró
Femme dans la rue, 1973
Oil on canvas, 195x130 cm
© Successió Miró by SIAE 2017
Archive Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca
Foto: Joan Ramón Bonet & David Bonet
Terminerà il 14 gennaio prossimo la mostra MIRÓ. SOGNO E COLORE, dedicata al celebre artista catalano, a cura di Pilar Baos Rodríguez.
Se le cronache restituiscono da qualche tempo gli esiti delle battaglie politiche e civili della regione indipendentista spagnola - senza entrare nel merito della questione, forse col beneplacito dello stesso Mirò - l'arte, attraverso i suoi codici universali, offre dell'attualità una visione  decisamente più colorata e sfaccettata.
Come sottolinea la direttrice dei Musei Reali di Torino Enrica Pagella:"I Musei Reali ospitano un nuovo appuntamento con l’arte moderna e con uno degli artisti che ne hanno maggiormente segnato la storia. L’esposizione approfondisce il momento più felice della ricerca dell’artista, tra il 1956 e il 1983, anno della morte, ed evidenzia opportunamente le radici storiche e visive che l’hanno alimentata."
Joan Miró (Barcellona, 1893 - Palma di Maiorca, 1983) ha difatti attraversato un lungo arco temporale che gli ha permesso di militare tra le fila di svariati movimenti d'avanguardia: fauvisme negli anni '10 del Novecento, surrealismo negli anni '20, astrattismo di matrice americana negli anni '60 e di accostarsi ai linguaggi sperimentali del proprio tempo.

          130 opere, quasi tutti olii di grande formato, si susseguono nelle sale di Palazzo Chiablese grazie al generosissimo prestito della Fundació Pilar i Joan Miró a Maiorca, che conserva la maggior parte della produzione creata  durante la permanenza sull’isola. Qui, dal 1956 sulle colline di Cala Major, ha sede Taller Sert spazio progettato dall'amico docente e architetto Josep Lluis Sert, con lo studio Son Boter luogo creativo e buen retiro dell'autore per oltre venticinque anni. L'esposizione presenta capolavori degli anni Sessanta e Ottanta del secolo appena trascorso quali Femme au clair de lune (1966),  Femme dans la rue (1973), a sottolineare il profondo interesse che nutrì per il genere femminile, assieme a opere realizzate negli ultimi anni di carriera con materiali di riciclo accumulati con acribia collezionistica nel corso di una vita.
Nella sezione "Studio di Mirò" una teca raccoglie alcuni di questi oggetti: la foto di un Moai, una scatola di acquerelli di importazione giapponese, l'immagine dell'Onda di Hokusai, un fischietto in ceramica del tipico artigianato maiorchino, una pigna, un segmento di bambù, pastelli francesi, una valva di conchiglia, oltre a manufatti antropomorfi dalle fogge primitive. Metafora della propria poetica e al tempo stesso simboli di un preciso modo di intendere il processo creativo: "Il mio studio è come un orto. Lavoro come un giardiniere o un viticoltore. Le cose maturano lentamente, il mio vocabolario di forme, ad esempio, non l'ho scoperto in un sol colpo", ebbe ad affermare.
Joan Miró
Oiseaux, 1973
Oil and acrylic on canvas, 115,5x88,5 cm
© Successió Miró by SIAE 2017
Archive Fundació Pilar i Joan Miró a Mallorca
Foto: Joan Ramón Bonet & David Bonet
          Certamente il suo metodo di lavoro, seppur meticoloso e ragionato, deve molto all'automatismo psichico del Surrealismo, movimento cui Mirò aderì e che conferì quella parte gestuale predominante in tutta la sua produzione, fondamentale nell'instaurare un dialogo diretto e autentico col proprio pubblico. La successione non diacronica delle opere tende dunque ad evidenziare alcuni assunti basilari dei differenti periodi della sua parabola artistica.
Fra le aree tematiche in cui è suddivisa l'esposizione, ampio spazio è dedicato alle "Radici", al principio di tutte le cose: "La terra, la terra, nient'altro che la terra. Qualcosa di più forte di me", come si legge fra le sue dichiarazioni. Così un grande olio su tela, non datato, dai colori acquosi, terrosi, stesi di getto, gli olii su cartone realizzati dal 1917 al 1978 esprimono una fisicità e  una cromìa primitive trasversali rispetto all' evoluzione stilistica. Abile ceramista, Mirò tradusse plasticamente tale ancestralità in maniera quasi tautologica, ad esempio nella scultura antropomorfa in ceramica, terracotta e porcellana e in quella zoomorfa in ceramica e terracotta, entrambe del 1980.

          Ma la ricerca di Mirò non si sofferma su un singolo aspetto, egli attinge liberamente alla scrittura ideografica giapponese in opere monocrome degli anni Settanta, così come all'estetica organica di Gaudì, nelle 10 maquette dai profili vivacemente colorati. Nulla gli è indifferente sul piano formale, pertanto ad una ripetitività dei soggetti corrispondono soluzioni tecniche che mescolano gouache, inchiostro, matita, pastelli e collage su carta; oppure i quadri astratti si compongono di un felice intreccio di olio, pastello e cera su masonite; olio e matita coesistono in un tratto sottile e lineare su compensato. Infine con opere ardite in cui si combinano giornale, guazzo, inchiostro, corda legno e filo metallico la superficie della tela raggiunge una spazialità di consistenza scultorea.
Soluzioni nelle quali l'eleganza formale si fonde con una purezza concettuale articolata sulla combinazione di pochi essenziali colori: bianco per il fondo, nero per pennellate repentine e rosso per polarizzare lo sguardo su un'area focale. Per passare dopo tanto trionfo di materiali ad opere minimaliste, vicine ai monocromi suprematisti.
"Mi sforzo di raggiungere il massimo della chiarezza, della potenza e dell'espressività plastica, cioè di provocare per prima cosa una sensazione fisica per poi arrivare all'anima." Adottando, se occorre, il fraseggio dirompente del proprio tempo: espressionismo astratto di Pollock (con l'uso del dripping, come testimoniato da un video in mostra), di Johns, il new dada di Rauschenberg, o il graffitismo di Twombly e Basquiat, perché, al di là di asettici campanilismi, non omise di ammirare "molto l'energia e la vitalità dei pittori statunitensi".

          La rassegna torinese presenta, nel corso dell'articolato percorso, 24 opere di piccolo e medio formato su carta e cartoncino, ad olio e gouache su foglio di giornale, ad inchiostro, olio e collage su carta, oltre ad acqueforti e acquetinte su carta, dove nuovamente ritornano i soggetti prediletti: Femme, il pastello Paysage, il monocromo L'oiseau s'envolve vers l'ile deserte. In questa sezione  - "Le principali influenze di Mirò" -, le immagini tratte dalla rivista d'arte "Derrière le miroir" e le incisioni per il poema di Pablo Neruda "El sobreviviente visita los pàjaros", dialogano con le parole: essenziali come arabeschi, eleganti come la calligrafia cufica, perché: "Il pittore lavora come il poeta: prima viene la parola, poi il pensiero".
Per concludere, la sezione il "Vocabolario della forma" rappresenta l'epilogo di una vita spesa per l'arte, al termine della quale la semplificazione del significante diventa manifesto di assoluta libertà, dove "Le forme germogliano e mutano, si interscambiano e così creano la realtà di un universo di segni e di simboli". Una realtà che genera atmosfere oniriche, con emergenze di rossi, gialli, blu, verdi saturi, sublimati nella sala conclusiva da proiezioni a soffitto ritmate sulle note musicali di una melodia magica e fiabesa.

MIRÓ. SOGNO E COLORE

Dal 4 ottobre 2017 al 14 gennaio 2018
Palazzo Chiablese
Piazzetta Reale
Info: 011024301
www.mostramirotorino.it

lunedì 18 dicembre 2017

CARLO BONONI A FERRARA

Carlo Bononi
Trinità adorata dai Santi, 1616-17
Ferrara, chiesa di Santa Maria in Vado
La Fondazione Ferrara Arte con le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara in collaborazione con i Musei di Arte Antica del Comune di Ferrara, presentano nelle sale di Palazzo dei Diamanti, CARLO BONONI. L'ultimo sognatore dell'Officina ferrarese, a cura di Giovanni Sassu e Francesca Cappelletti, prima mostra monografica dedicata a un autore e a un periodo, il Seicento ferrarese, spesso offuscati dalla magica stagione rinascimentale degli Este.
Carlo Bononi
Annunciazione, 1611
Olio su tela, cm 286 x 196
Gualtieri (RE), Santa Maria della Neve
Pittore naturalista, autore di grandi cicli decorativi sacri e di pale d’altare, Carlo Bononi (1569?-1632) in anni di contrasti religiosi, terremoti e pestilenze, elabora un personale linguaggio pittorico fondato sul sapiente uso della luce e sul magistrale ricorso alla teatralità tale da annoverarsi fra i primi pittori barocchi della penisola.
Guido Reni, a pochi anni dalla morte, ne esalterà la «sapienza grande nel disegno e nella forza del colorito». Un secolo dopo i viaggiatori del Grand Tour, da Charles Nicolas Cochin a Johann Wolfgang Goethe ne riconoscono le qualità artistiche; l’abate Luigi Lanzi nella Storia pittorica d’Italia lo definisce «un de’ primi che l’Italia vedesse dopo i Caracci». Jakob Burckhardt nel "Cicerone" (1855) davanti alle decorazioni di Santa Maria in Vado si dichiarava convinto di trovarsi di fronte al prodotto di una delle menti più brillanti del suo tempo.
Carlo Bononi
Pietà, c. 1623
Olio su tela, cm 244 x 124,5
Ferrara, chiesa delle Sacre Stimmate
Giunto a Ferrara il 16 ottobre del 1786, Johann Wolfgang Goethe trova una città «bella, grande [ma] piatta e spopolata». L’unica cosa che lo rallegra nel corso del brevissimo soggiorno è «la geniale trovata d’un pittore, autore di un San Giovanni Battista davanti ad Erode ed Erodiade» nella chiesa di San Benedetto, nel quale due cagnolini, uno sbucato da sotto la veste di Erodiade, abbaiano al profeta mal vestito e seminudo. Goethe non conosce l’autore di quel quadro e non sa che 26 anni prima il padre, Johann Caspar, era rimasto colpito dalle opere realizzate dallo stesso pittore nelle chiese di San Cristoforo alla Certosa e di Santa Maria in Vado, al punto da ricordarne la sepoltura avvenuta in quest’ultimo luogo. Il quadro che tanto colpì Goethe junior non esiste più: il bombardamento del 28 gennaio 1944 su San Benedetto se l’è portato via e oggi lo conosciamo attraverso un’incisione di Andrea Bolzoni.
Giovanni Lanfranco
Sant’Agata curata da san Pietro e l’angelo, c. 1613-14
Olio su tela, cm 100 x 132
Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale di Parma
Su concessione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
Artista prolifico, grandissimo disegnatore, inquieto sperimentatore e infaticabile viaggiatore, si misurò con le novità provenienti dalla Venezia di Tintoretto, dalla Bologna dei Carracci fino alla Roma di Caravaggio e di Lanfranco. Roberto Longhi, nel 1934, quando il Seicento estense è ancora lontano dall’essere compreso, lo definisce «l’ultimo grande pittore ferrarese», assegnando a lui - e non al più noto (e studiato) Scarsellino - il ruolo storico di chiudere la grande stagione dell’Officina.
Eccezion fatta per la monografia di Andrea Emiliani del 1962 e per il periodo che lo vide attivo a Reggio Emilia tra il 1616 ed il 1629 la sua carriera risulta di difficile ricostruzione. La mostra ferrarese attraverso nuove ipotesi critiche e una serie di confronti con maestri quali Guercino e Guido Reni, ritrae un Bononi "nuovo", figlio e protagonista del suo tempo.
Il percorso inizia mettendo a confronto un’opera della maturità, la Pietà - commissionata dal drammaturgo e poeta ferrarese Ascanio Pio di Savoia entro il 1624 per la chiesa ferrarese delle Sacre Stimmate -, con i dipinti di Carracci e Carracci, due artisti con cui Carlo instaurerà una dialettica forte e duratura.
Carlo Bononi
Madonna col Bambino in trono con i santi Francesco, Matteo e Giovanni Battista, 1623-25
Olio su tela, cm 144 x 91
Collezione privata
Attorno al 1602 si attestano le opere d’esordio: qui la tradizione cromatica di Dosso Dossi si coniuga con la Venezia contemporanea. Altrove è la svolta impressa in particolare da Ludovico Carracci, ad esempio nella Madonna col Bambino e i santi Giorgio e Maurelio del Kunsthistorisches Museum di Vienna, prima commissione pubblica del pittore per i Consoli alle Vettovaglie; oppure nella muscolare ed elegantissima Sibilla della Fondazione Cavallini-Sgarbi, già nell’Oratorio di Santa Maria della Scala. La piena affermazione di Bononi in centri come Mantova (1614) e Reggio Emilia (1616), preannuncia la grandiosa impresa di Santa Maria in Vado, composta dai magniloquenti teleri dei soffitti della navata e del transetto ma, soprattutto, dall’avvolgente decorazione del catino absidale (terminati nell’agosto del 1617), ove soluzioni formali di stupefacente modernità, desunte in particolare da Palma il Giovane, competono con la cupola di Sant’Andrea della Valle a Roma dipinta da Lanfranco (1625-27), considerata l’atto di fondazione della decorazione barocca.
Guido Reni
San Sebastiano, c. 1616
Olio su tela
Genova, Musei di Strada Nuova, Palazzo Rosso
Opere ardite il cui sperimentalismo è riscontrabile ancora nella decorazione del Santuario della Beata Vergine della Ghiara a Reggio Emilia (1622), come testimoniano in rassegna la mirabile serie di disegni preparatori e la Giunone di collezione privata, proveniente dai soffitti di una casa ferrarese o, secondo alcuni studiosi dallo stesso Palazzo dei Diamanti.
È in questo frangente che Bononi mette a punto una formula espressiva che unisce gli stilemi di Correggio con il classicismo di Guido Reni, coniugando la sensualità del nudo con le esigenze votive e rappresentative in voga in quegli anni, fino a costituirne un proprio tratto peculiare, specie in capolavori come l’Angelo custode (Ferrara, Pinacoteca Nazionale) dalla chiesa di Sant’Andrea o il San Sebastiano della Cattedrale di Reggio Emilia.
Carlo Bononi
San Sebastiano, c. 1622-23
Olio su tela, cm 250 x 160
Reggio Emilia, Cattedrale
Terminate le decorazioni di Santa Maria in Vado Carlo Bononi si reca a Roma, dove entra in contatto con il naturalismo di Caravaggio e con gli artisti impegnati a sperimentare nuovi mezzi espressivi: Orazio Borgianni, Carlo Saraceni, Giovanni Lanfranco e, forse, Simon Vouet.
Oltre ai dipinti in mostra San Paterniano che risana la cieca Silvia di Fano e il Genio delle arti, all'esperienza romana risalgono committenze legate al tema della musica, materia che l’artista doveva aver praticato vista la familiarità con Antonio Goretti, melomane e mecenate in contatto con personalità del calibro di Monteverdi.
Capace di affrontare opere di considerevoli dimensioni in pochissimo tempo, Bononi è anche un lirico cantore di dipinti di formato ridotto, ai quali è dedicata un'apposita sezione: il percorso diacronico rivela uno splendido colorista in ambito sacro (come nella Raccolta della manna di collezione privata, un tempo in Santa Caterina a Ferrara) nonché creatore di forme profane tanto minute quanto possenti (Enea fugge da Troia in fiamme con Anchise e Ascanio della Collezione Grimaldi Fava).
Carlo Bononi
San Ludovico scongiura la peste, 1632
Olio su tela, cm 140 x 180
Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie
Dopo il 1625, negli anni della piena maturità, Carlo si mostra capace di dispiegare con sapienza diversi registri espressivi. Nuove commissioni prestigiose provengono fra le altre dalla duchessa di Modena Eleonora d’Este per la pala della cappella di famiglia in San Domenico.
La parabola artistica e umana di Carlo si chiude a Ferrara nel 1632, non senza qualche difficoltà, avendo raggiunto l'equilibrio tra sentimento e religiosità. L’incompiuto San Luigi di Francia invoca la fine della peste del Kunsthistorisches Museum di Vienna, commissionato dal Maestrato di Ferrara in occasione dell’epidemia del 1630, ne rappresenta il testamento poetico: un patrimonio di dolcezza, suadenza e malinconia che la mostra di Palazzo dei Diamanti colloca, com'è doveroso, al fianco dei grandi artisti della scuola di Ferrara: Cosmè Tura, Francesco del Cossa, Ercole de’ Roberti, Garofalo e Dosso Dossi dei quali fu l’ideale continuatore.

CARLO BONONI
L'ultimo sognatore dell'Officina ferrarese

Dal 14 ottobre 2017 al 7 gennaio 2018
Palazzo dei Diamanti - Ferrara
Orario: tutti i giorni dalle 9 alle 19. Aperto anche il 25 e 26 dicembre e il 1 e 6 gennaio. Apertura serale straordinaria fino alle 23,30 il 31 dicembre.
Per informazioni: tel. 0532 244949; diamanti@comune.fe.it
www.palazzodiamanti.it