Etienne de France |
Etienne de France nasce nel 1984 a Parigi, dove si laurea alla Sorbonne in Storia dell'Arte, da alcuni anni risiede a Reykjavik. E' autore del progetto multimediale Tales of a Sea Cow, sua prima esposizione personale in Europa, presso il PAV Parco Arte Vivente di Torino, fino al 24 giugno 2012.
Tales of a Sea Cow è il risultato di un intenso lavoro sulla biodiversità imperniato sulla Ritina di Steller, un mammifero marino avvistato per la prima volta nel 1741 nel mare di Bering e dichiarato estinto nel giro di poche decine di anni. Metafora amara della velocità e della voracità con cui l’uomo tende ad appropriarsi dell’ambiente.
Come è nata l’idea di esporre al PAV Parco Arte Vivente?
Conoscevo la curatrice della mostra Annick Bureaud, che ha iniziato a seguire il progetto Tales of a Sea Cow nel 2010. In seguito Piero Gilardi ha incontrato Annick a Parigi, in occasione di un convegno sulla biodiversità, e le ha chiesto di collaborare con il PAV come critica e curatrice esperta e specializzata nei nuovi media. Da qui è stata avanzata la proposta di farmi esporre in questa sede. Il PAV è anche co-produttore di una parte del progetto.
È stato complicato realizzare un allestimento così articolato in uno spazio fortemente connotato come il PAV?
Non è stato facile, ma si è trattato di una sfida entusiasmante. Abbiamo dovuto adattare la mostra ad uno spazio concettuale, con una corte, la serra, ecc…che non assomiglia al classico ‘white cube’, mi è sembrato interessante giocare con un museo così particolare. Inoltre è il luogo adatto per il debutto europeo di un lavoro con una struttura modulare [che al PAV è stato possibile dispiegare nella sua totalità, ndr], atipica rispetto alle esposizioni tradizionali.
Il tema della mostra si snoda su vari livelli narrativi. A quale pubblico si rivolge?
Non sono interessato a rivolgermi a una particolare fascia di pubblico, non lo divido per genere, età, ecc. Mi interessa semplicemente che le persone, siano esse bambini, giovani, anziani, intellettuali, non intellettuali, si sentano coinvolte dal percorso espositivo, che ne ricevano suggestioni utili a sollevare dubbi, suscitare interrogativi.
Il suo appare come un atto d’accusa verso l’eccessiva fede nel progresso. In cosa può credere oggi l’uomo contemporaneo?
Il paradosso di questo progetto è che ho criticato il fatto che noi stiamo intervenendo sulla natura, stiamo antropomorfizzando la natura, ma alla fine ho raccontato una storia proprio su questo.
Il mio obiettivo è quello di realizzare lavori poetici e metaforici che parlino di cose che sono difficili da accettare. Quando si rispetta la relazione tra natura e uomo è possibile superare il confine di ciò in cui si crede ed essere molto creativi, scoprendo tutta la ricchezza che esiste in questa creatività. Italo Calvino ad esempio è un autore molto nostalgico, ma è ricco di poesia. Offre molti stimoli a diversi tipi di pubblico. Crea dei ponti su altre vie d’accesso, non è statico.
Dovendo classificare arte, scienza ed etica in che ordine metterebbe queste tre parole?
Arte, Etica e Scienza.
Al primo posto metto l’arte perché è quello che faccio, che sento, che vedo più vicino a me e come artista mi relaziono con gli amici, i parenti, genitori e in generale la società. Questo passaggio di relazioni è ciò che io considero etica. All’ultimo posto metto la scienza perché sono molto interessato alla ricerca, cerco un dialogo con gli scienziati, ma assolutamente non sono uno scienziato.
Esiste una scena artistica islandese?
Esiste in Islanda una scena underground sperimentale molto piccola, ma molto valida. A Reykjavik ci sono artisti interessanti, anche giovani, già famosi all’estero che però devono la loro fama al fatto di aver esposto in grandi manifestazioni in Europa e Stati Uniti. Tra questi Ragnar Kjartansson che ha esposto nel 2009 nel padiglione islandese della Biennale di Venezia. Il vantaggio di vivere in una comunità così piccola è che tutti si conoscono ed è molto facile partecipare ai workshop, mettere in atto dei progetti. Mi è stato di grande aiuto vivere in un ambiente di questo tipo. Penso che la scena islandese si possa riassumere in una parola: spontaneità.