sabato 28 dicembre 2019

LUISA VALENTINI. UN DIALOGO FRA ANTICO E CONTEMPORANEO

Gian Giorgio Massara

LUISA VALENTINI
Whemut-Melancholia
/ Ninfa del Cedro
Lo scenografico cortile d'onore di palazzo Accorsi-Ometto (Torino, V. Po 55) accoglie nelle nicchie statue e busti, testimonianze di tempi lontani da noi; accanto, un piccolo spazio verde.
Da qualche giorno le luci nella notte illuminano l'opera WHEMUT - MELANCHOLIA realizzata da Luisa Valentini, notissimo scultore torinese; laureata in Germanistica e all'Accademia di BB.AA. è docente presso l'Accademia stessa nel corso di "Plastica ornamentale".
La carriera della Valentini è di tutto rispetto poiché nel 1996 Marisa Vescovo propone le sue opere a palazzo Bricherasio in occasione della mostra Giovani Artisti e in questo 2019 che sta per concludersi le sue sculture sono esposte alla Fondazione Nautilus Lanzarote (Canarie).
Tutti i critici torinesi si sono occupati della produzione artistica della Valentini, da Marco Rosci a Riccardo Passoni, da Guido Curto ed Enrica Pagella ad Armando Audoli; recentemente, la collega Paola Malato ha accolto fra le proprie Impronte d'Artista un'opera di Luisa.
Importante è sottolineare la sua presenza in ben tre "delizie" sabaude: Venaria Reale, Racconigi e Govone, mentre da dieci anni ormai le lussuose navi da crociera della linea Costa accolgono sculture e installazioni.
I fiori, talvolta fiammeggianti, e gli elementi della natura, i gioielli, sono temi prediletti dall'artista torinese. A Palazzo Accorsi è stata collocata l'opera ispirata alla Ninfa del Cedro: si tratta di strutture metalliche che paiono lievi e che accolgono forme simboliche disegnate nello spazio; un intelligente modo di accostare il contemporaneo al passato sottolineando così quel fil rouge che prende avvio dall'archeologia per non interrompersi più.

giovedì 26 dicembre 2019

A ROVIGO IL GIAPPONE INCONTRA L'EUROPA

Emil Orlik
Paesaggio con il monte Fuji
1908
Courtesy Daxer & Marschall Gallery, Monaco
Sul finire del XIX secolo la scoperta delle arti decorative giapponesi diede una notevole scossa all’intera arte europea. Un potente vento di rinnovamento, se non proprio un uragano, dall’Oriente investì modelli, consuetudini stratificate nei secoli, conducendo l’arte del Vecchio Continente verso nuove e più essenziali norme compositive fatte di sintesi e colori luminosi.
La svolta avvenne quando, all’inizio degli anni ’60 dell’Ottocento cominciarono a diffondersi in Europa, e principalmente in Francia, ceramiche, stampe, arredi da giardino dall’Impero del Sol Levante che pochi anni addietro, nel 1853, si era aperto al resto del modo.
Paul Gauguin
Fête Gloanec
1888
Orléans, Musée des Beaux-Arts
Le prime xilografie si diffusero dapprincipio grazie al commercio di vasi e ceramiche, con cui questi venivano avvolti e impacchettati. I preziosi fogli erano spesso i celebri manga di Hokusai o altre brillantissime stampe di Utamaro e Hiroshige che tanta influenza ebbero sugli Impressionisti, sui Nabis, fino alle Secessioni di Vienna e Monaco per concludere il loro ascendente con i bagliori della Grande Guerra, trasformandosi in un più generico culto dell’oriente nel corso degli anni '20 e '30 del Novecento.
La moda giapponista, esplosa attorno al 1860 e destinata a durare almeno un altro cinquantennio coinvolse dapprima la ricca borghesia internazionale, ma soprattutto due intere generazioni di artisti, letterati, musicisti e architetti, trovando via via sempre più forza con l’innesto delle culture Liberty e modernista sempre più attente ai valori decorativi e rigorosi dell’arte giapponese.
Louise Abbema
Japonaise et céramique
1885 circa
Amsterdam, collezione privata
Il taglio che il curatore Francesco Parisi ha scelto per descrivere questa effervescente pagina della storia dell’arte europea e mondiale nella grande mostra Giapponismo, Venti d’Oriente nell’arte europea. 1860 - 1915 è decisamente originale mappando, per la prima volta, le tendenze giapponiste dell’Europa tra Ottocento e Novecento: dalla Germania all’Olanda, al Belgio, dalla Francia all’Austria, alla Boemia, fino all’Italia.
Nelle quattro ampie sezioni in cui è dipanato il racconto, egli affianca originali e derivati, ovvero opere scelte fra quelle che giungendo dal Giappone divamparono a oggetto di passioni e di studi in Europa, accanto alle opere che di questi evidenziano la profonda influenza.
Anselmo Bucci
La giapponese (il Kimono)
1919
olio su tela
Courtesy Matteo Mapelli/ Galleria Antologia Monza
Pittura e grafica, certo. Ma anche tutto il resto - dall’architettura, alle arti applicate, all’illustrazione, ai manifesti, agli arredi - a dar conto in modo organico di quanto capillarmente e profondamente quel Giapponismo sia entrato nel corpo della vecchia Europa.
Quattro sezioni, quante furono le grandi Esposizioni Universali che in quei decenni contribuirono, grazie alla presenza dei padiglioni giapponesi, a svelare ed amplificare il nuovo che giungeva da una terra misteriosa e magica: dal debutto londinese del 1862, alle rassegne parigine del ’67 e’78, fino all’esposizione per il cinquantennale dell’Unità d’Italia del 1911 ciascuna ispirò profondamente molti artisti delle nuove generazioni.
Carl Moser
Pavone con quattro ciliegie
1929
Olio su tela
Accanto ai capolavori di Paul Gauguin, Henri de Toulouse-Lautrec, Vincent van Gogh, Gustav Klimt, Kolo Moser, James Ensor, Alphonse Mucha si ammirano le tendenze giapponiste nelle opere degli inglesi Albert Moore, Sir John Lavery e Christopher Dresser; degli italiani Giuseppe De Nittis, Galileo Chini, Plinio Nomellini, Giacomo Balla, Antonio Mancini, Antonio Fontanesi e Francesco Paolo Michetti con il suo capolavoro La raccolta delle zucche; e ancora i francesi Pierre Bonnard, Paul Ranson, Maurice Denis ed Emile Gallé; i belgi Fernand Khnopff e Henry Van De Velde.

GIAPPONISMO
Venti d’Oriente nell’arte europea. 1860 - 1915

Palazzo Roverella
Via Laurenti 8/10, Rovigo
28 settembre 2019 - 26 gennaio 2020
Orario: da lunedì a venerdì dalle 9 alle 19; sabato, domenica e festivi dalle 9 alle 20
www.palazzoroverella.com