giovedì 31 maggio 2018

RENATO GUTTUSO

Zolfara, 1953
Olio su tela, 201,5 x 311 cm
Regole d’Ampezzo, Museo d’Arte Moderna "Mario Rimoldi", Cortina d’Ampezzo
È in corso, fino al 24 giugno 2018, l'esposizione curata da Pier Giovanni Castagnoli, RENATO GUTTUSO. L’arte rivoluzionaria nel cinquantenario del ‘68, ospitata negli spazi rinnovati della GAM di Torino. Il pittore siciliano, presenza di forte rilievo nella storia dell’arte italiana del Novecento, è qui rappresentato da alcune delle più significative tele di soggetto politico e civile dipinte tra la fine degli anni Trenta e la metà degli anni Settanta.
Figura nodale nel dibattito concernente i rapporti tra arte e società nel secondo dopoguerra, ha significativamente accompagnato un ampio tratto del suo cammino.
Curata da Pier Giovanni Castagnoli, con la collaborazione degli Archivi Guttuso, la mostra raccoglie e presenta circa 60 opere provenienti da importanti musei e collezioni pubbliche e private europee. Primeggiano alcune delle più significative tele di soggetto politico e civile dipinte dall’artista lungo un arco di tempo che corre dalla fine degli anni Trenta alla metà degli anni Settanta.
Balcone (figure tavolo e balcone), 1942
Olio su tela, 150,5 x 110,5 cm.
Rovereto, Mart - Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto
Collezione VAF - Stiftung
Nell’ottobre del 1967, cinquantesimo anniversario della rivoluzione d’ottobre, Renato Guttuso (Bagheria, Palermo 1911 - Roma 1987) scriveva su "Rinascita", rivista politico-culturale del Partito Comunista Italiano, un articolo intitolato Avanguardie e Rivoluzione, nel quale il pittore riconosceva alla rivoluzione il titolo inconfutabile e meritorio di essere stata il fondamento di una nuova cultura, con la quale profondamente sentiva di identificarsi e che lo induceva a chiudere il suo scritto con l’esplicita professione di fede: "L’arte è umanesimo e il socialismo è umanesimo".
Guttuso era stato, a partire dagli anni della fronda antifascista e tanto più nel secondo dopoguerra, un artista che, come pochi altri in Italia, si era dedicato con perseverante dedizione e ferma convinzione a ricercare una saldatura tra impegno politico e sociale ed esperienza creativa, nella persuasione che l’arte, nel suo caso la pittura, possa e debba svolgere una funzione civile e sia costitutivamente dotata di una valenza profondamente morale.
Funerali di Togliatti, 1972
Tecnica mista su tavola, 340 x 440 cm.
MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna (deposito permanente dell’Associazione Enrico Berlinguer)
Foto: Matteo Monti, courtesy Istituzione Bologna Musei | MAMbo
A poco più di cinquant’anni dalla pubblicazione dell’articolo e nella ricorrenza del cinquantenario del ‘68, la GAM di Torino si propone di riconsiderare il rapporto tra politica e cultura, attraverso una mostra dedicata all’esperienza dell’artista siciliano, raccogliendo alcune delle sue opere maggiori di soggetto politico e civile. A partire da un dipinto quale Fucilazione in campagna del 1938, ispirato alla fucilazione di Federico Garcìa Lorca, che a buon diritto può essere assunto a incunabolo di una lunga e ininterrotta visitazione del tema delle lotte per la libertà, per giungere alla condanna della violenza nazista, nei disegni urlati e urticanti del Gott mit uns (1944) e successivamente, dopo i giorni tragici della guerra e della tirannia, alle intonazioni di una reinventata epica popolare risuonanti in opere nuove per stile e sentimento come: Marsigliese contadina, 1947 o Lotta di minatori francesi, 1948.
Gott mit uns, 1944
China e acquerello su carta, 46,5 x 35,5 cm
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Un grande, ininterrotto racconto che approda, negli anni Sessanta a risultati di partecipe testimonianza militante, come in Vietnam (1965) o a espressioni di affettuosa vicinanza, come avviene, nel richiamo alle giornate del maggio parigino, con Giovani innamorati (1969) e più tardi, in chiusura della rassegna, a quel compianto denso di nostalgia che raffigura i Funerali di Togliatti (1972) e in cui si condensa la storia delle lotte e delle speranze di un popolo e le ragioni della militanza di un uomo e di un artista.
"Nel secondo dopoguerra - afferma Carolyn Christov-Bakargiev Direttore uscente della GAM, ora a capo del Castello di Rivoli, a seguito della rinuncia al doppio mandato - negli ambienti della cultura di sinistra si discuteva tra avanguardia formalista e realismo figurativo. Ci si chiedeva quale fosse più rivoluzionaria e quale più reazionaria. Oggi, paradossalmente, nell’era della realtà aumentata e della virtualità, la pittura di Guttuso può sembrarci tanto reale e materica quanto il mondo che stiamo perdendo".
La finestra blu, 1940-41
Olio su tela 45 x 50 cm
Collezione Giuseppe Iannaccone, Milano
A fronte dell’antologia di tali dipinti e in dialogo con essi, la mostra offre anche un repertorio variegato di opere di differente soggetto: ritratti e autoritratti, paesaggi, nature morte, nudi, vedute di interno, scene di conversazione. Quadri tutti coevi ai tempi di esecuzione dei dipinti di ispirazione politica e sociale, selezionati con il proposito di offrire indiscutibile prova dei traguardi di alta qualità formale conquistati da Guttuso nell’esercizio di una pittura che - afferma il curatore Pier Giovanni Castagnoli - "per comodità, potremmo chiamare pura, con l’intendimento di saggiare, attraverso il confronto dei diversi orizzonti immaginativi, l’intensità dei risultati raggiunti su entrambi i versanti ideativi su cui si è esercitato il suo impegno di pittore e poter consegnare infine all’esposizione, pur nel primato assegnato al cardine tematico su cui la mostra si incerniera, un profilo ampiamente rappresentativo della ricchezza dei registri espressivi presenti nel ricchissimo catalogo della sua opera e della poliedrica versatilità del suo estro creativo".

La mostra è accompagnata dal catalogo edito da Silvana Editoriale, con saggi di Pier Giovanni Castagnoli, Elena Volpato, Fabio Belloni, Carolyn Christov-Bakargiev e un’antologia di scritti di Renato Guttuso.

RENATO GUTTUSO
L'arte rivoluzionaria nel cinquantenario del '68

Dal 23 febbraio al 24 giugno 2018
GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino
Via Magenta, 31 - 10128 Torino
Orari: da martedì a domenica 10 - 18, lunedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima.
tel. +39 011 4429518,  +39 011 443690, gam@fondazionetorinomusei.it
www.gamtorino.it

MRSN / CINEMAMBIENTE


Il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino ha da tempo instaurato una proficua collaborazione con il Festival CinemAmbiente attraverso una serie di iniziative incentrate sulla conservazione della natura e la divulgazione scientifica.
Nell’ambito del 21° Environmental Film Festival (Torino, 31 maggio - 5 giugno 2018), con il coordinamento del conservatore zoologo del Museo Franco Andreone, alcuni film internazionali in concorso saranno commentati da ricercatori e divulgatori naturalisti.

The Last Animals testimonia l'estinzione del rinoceronte bianco settentrionale, la tratta dei corni e il commercio dell'avorio. Dialogano con la regista Kate Brooks, Isabella Pratesi del WWF Italia e Spartaco Gippoliti, esperto di mammiferi africani, di musei e di giardini zoologici. Lo sfruttamento e il degrado degli ecosistemi marini, argomento del film Blue, sarà approfondito da Giorgio Bavestrello dell’Università di Genova. The Ancient Woods, proiettato nell’aulica Sala dei Mappamondi all’Accademia delle Scienze, mostra i delicati equilibri fra animali e piante di una foresta centro-europea. Commenta Stefano Mancuso, autore dei best-seller Verde brillante e Plant Revolution.

In Genesis 2.0, Maurizio Casiraghi, dell’Università di Milano Bicocca, illustrerà con l'autore Christian Frei le nuove frontiere della biologia e del progresso scientifico. Il film russo Medvedi Kamčatki (Kamchatka Bears. Life Begins) vedrà a confronto la co-regista Irina Žuravleva e l'esperto in biologia dell'orso Mauro Belardi. Infine per Ranger and Leopard, Sandro Lovari (Università di Siena) racconterà dell'ultimo leopardo dell'Iran e del ranger che ad esso si dedica.
Al Centro Studi Sereno Regis, si parlerà di Madagascar con il film Sarimihetsika, seguito dal concerto della cantante etno-ambientalista Olga del Madagascar e dall'incontro con il regista Enrico Iannaccone.
Alle Scuole Primarie è riservata la proiezione del film Earth - Un giorno straordinario, con la collaborazione della sezione didattica del Museo.

mercoledì 30 maggio 2018

PASINI E L’ORIENTE

Alberto Pasini
In attesa del sultano
1895 ca.
Olio su tela
Oriente di fascino e mistero, di paesaggi sconfinati e odalische, di suggestive rovine, di terre lontane, di meraviglie ed esotiche bizzarrie. Quando la prima traduzione delle Mille e una Notte si diffonde in Europa all’inizio del Settecento nasce una nuova corrente di gusto, divenuta presto una vera moda, rivolta ai manufatti e alla cultura di Turchia, Persia ed Egitto e che vedrà in Alberto Pasini (Busseto 1826 - Cavoretto 1899), pittore e viaggiatore, uno dei suoi interpreti più raffinati. Quella di Pasini è una storia che contiene altre storie, dipinti come diari di viaggio, orizzonti immaginifici in cui lo spettatore può abbandonarsi. La Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo (Parma) dedica a Pasini la mostra PASINI E L’ORIENTE. Luci e colori di terre lontane con oltre 100 opere fra dipinti e lavori grafici, a cura di Paolo Serafini e Stefano Roffi.
Alberto Pasini
Davanti alla Moschea
1875-80
Olio su tela
È una pittura, quella di Pasini, che prende le distanze dal lavoro di tutti gli altri interpreti della stagione orientalista dell‘Ottocento, perché non si propone di presentare l’immagine dell’Oriente che il pubblico occidentale richiedeva e alla quale era abituato, ma di creare immagini nuove, aprendo un dialogo artistico con una cultura altra, attraverso la presentazione "dall’interno" dei suoi contenuti, usi, costumi, atmosfere. Un modello pittorico e di dialogo artistico che divenne un unicum, e che oggi, per l’importanza del tema, acquista un valore e un significato di grande attualità.
La sua attività di pittore di atmosfere orientaliste, ha inizio con un avvenimento che ne segnerà la carriera artistica: siamo nel 1855 quando Pasini, da poco arrivato a Parigi, viene chiamato a far parte di una delicatissima missione diplomatica francese, incaricata di venire a patti con lo Shāh di Persia, per sottrarlo all’influenza russa.
Alberto Pasini
La carovana dello Shāh di Persia
1867
Olio su tela
La mostra presenta, riuniti per la prima volta insieme, i disegni, le litografie e i dipinti realizzati da Pasini in occasione della missione. Si tratta di una delle più avventurose spedizioni diplomatiche del XIX secolo, che durante il conflitto russo-turco, fu costretta, per raggiungere Teheran, a circumnavigare la penisola arabica, con l’obiettivo di tenere aperto, con gli strumenti della cultura e della diplomazia, un dialogo tra l’Europa e il Medio Oriente.
Di questo storico viaggio non avremmo alcun documento se non fossero rimaste le memorie del Conte Joseph Gobineau, primo segretario, che accompagnava il Ministro Prosper Bourée assieme ad altri funzionari e dragomanni, e soprattutto i dipinti, disegni e litografie del pittore Alberto Pasini, incaricato dal Ministro di accompagnare e documentare la missione.
Alberto Pasini
Accampamento persiano
Olio su tela
In mostra compaiono la serie completa dei quaranta disegni realizzati in Persia; la serie delle dodici incisioni pubblicate su "l’Illustration, Journal Universel", accompagnate dagli articoli di Barbier de Meynard e Paulin; e i grandi dipinti, tra i rarissimi esempi di opere di grandi dimensioni realizzate dall’artista.
Tornato a Parigi nel giugno del 1856, a seguito della fine della guerra, Alberto Pasini inizia a rielaborare i disegni e gli schizzi eseguiti durante il viaggio e presenterà al Salon parigino una serie di dipinti di grande formato, assurti a modello di riferimento per la pittura orientalista degli anni a seguire. A metà Ottocento, infatti,  nuovi assetti politici, economici e sociali faranno di Parigi l'epicentro europeo della produzione artistica a soggetto orientalista, incontrando il gusto di un folto gruppo di collezionisti, grazie soprattutto al più grande mercante parigino di quegli anni, Adolphe Goupil, con cui Pasini siglerà un contratto in esclusiva.
Alberto Pasini
Acque dolci d'Europa
1868
Olio su tela
La seconda sezione della rassegna è dedicata alle opere realizzate a Istanbul, luogo prediletto, declinato dall’artista in decine di varianti, a partire dalla grande veduta della Moschea di Yeni Djami, venduta da Goupil al Museo di Nantes nel 1872, fino alle  scene di Mercato, ritratte in oltre trenta versioni.
Un'area tematica è dedicata agli usi e costumi dell’Oriente, ad esempio alla caccia col falcone, appresa dall'autore alla corte dello Shāh di Persia. In questa sezione alcune opere ad olio vengono affiancate alle incisioni prodotte da Goupil (oggi tutte al Museé Goupil di Bordeaux), utili a diffondere in Europa e in America il modello compositivo proposto da Pasini. Un’ultima parte del percorso ospita le vedute e i paesaggi, con orizzonti di ampio respiro e sublimi scorci prospettici, che grande seguito riscontreranno fra i giovani artisti delle generazioni successive.
Alberto Pasini
Mercato a Costantinopoli
1874
Olio su tela
130 x 105 cm
L'esposizione presenta per la prima volta al pubblico opere di grandi dimensioni di musei internazionali, quali Pascoli sulla strada da Teheran a Tabriz, datato 1864, proveniente dal  Musée des Beaux-Arts di Rouen; Ricordo dei dintorni di Tripoli, olio su tela del 1865, prestito del Musée des Beaux Arts di Marsiglia. Molti anche i capolavori conservati in collezioni private per l'occasione mostrati al pubblico: gli olii su tela Corvè per il trasporto dell’artiglieria nelle montagne di Shiraz, esposto al Salon di Parigi nel 1864 e apparso solo in una vendita all’asta del 1987 e Un Marché a Constantinople, esposto al Salon del 1874, riapparso solo recentemente.
Accompagna la mostra un ricco catalogo con tavole a colori e saggi di Paolo Serafini, Stefano Roffi, Lea Saint-Raymond, Cyrille Sciama, Guendalina Patrizi.

PASINI E L’ORIENTE

Luci e colori di terre lontane
Dal 17 marzo al 1 luglio 2018
Fondazione Magnani-Rocca
via Fondazione Magnani-Rocca 4 - Mamiano di Traversetolo (Parma)
Orario: dal martedì al venerdì 10-18 (la biglietteria chiude alle 17); sabato, domenica e festivi 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Aperto il 2 giugno.
Informazioni e prenotazioni gruppi: Tel. 0521 848327 / 848148; info@magnanirocca.it www.magnanirocca.it

JOHN RUSKIN. LE PIETRE DI VENEZIA

John Ruskin
Campanile di San Marco
Acquerello, biacca, matita su carta grigia, 163 x 126 mm
Londra, The British Museum
"[Venezia] giace ancora davanti ai nostri sguardi come era nel periodo finale della decadenza: un fantasma sulle sabbie del mare, così debole, così silenziosa, così spoglia di tutto all’infuori della sua bellezza, che qualche volta quando ammiriamo il languido riflesso nella laguna, ci chiediamo quasi fosse un miraggio quale sia la città, quale l’ombra. Vorrei tentare di tracciare le linee di questa immagine prima che vada perduta per sempre, e di raccogliere, per quanto mi sia possibile, il monito che proviene da ognuna delle onde che battono inesorabili, simili ai rintocchi della campana a morto, contro le pietre di Venezia".  (John Ruskin)1

         Cosa sarebbe il mito di Venezia senza John Ruskin, cantore della bellezza eterna della città, tanto più affascinante ed estrema perché colta nella sua decadenza?
Personaggio centrale nel panorama artistico internazionale del XIX secolo, scrittore, pittore e critico d’arte, l’inglese John Ruskin (1819-1900) ebbe un legame fortissimo con la città lagunare, alla quale dedicò la sua opera letteraria più nota, "Le pietre di Venezia": uno studio della sua architettura, sondata e descritta nei particolari più minuti, e un inno alla bellezza, all’unicità ma anche alla fragilità di questa città.
John Ruskin
Fronte meridionale della Basilica di San Marco, dalla Loggia di Palazzo Ducale, 1851
Acquerello, tempera, matita, biacca su carta, 959 x 454 mm
Collezione privata
Ruskin, ammirato da Tolstoj e da Proust, capace di influenzare fortemente l’estetica del tempo con la sua interpretazione dell’arte e dell’architettura, torna ora a Venezia nei luoghi della sua ispirazione; torna a Palazzo Ducale, edificio emblematico che egli esplorò a lungo da angolazioni diverse: taccuini, acquarelli, rilievi architettonici, calchi in gesso, albumine, platinotipi.
Ad ospitarlo è la sequenza di sale e loggiati tante volte raffigurati, ove la scenografia di Pier Luigi Pizzi dà risalto alle presenze architettoniche e scultoree della Venezia gotica e bizantina, medievale e anticlassica che egli tanto amava e che desiderava preservare dall’oblio.
Voluta da Gabriella Belli quale tributo alla conoscenza e al mito di Venezia, la mostra è curata da Anna Ottani Cavina: prima presentazione a tutto campo, in Italia, dell’opera di un artista che "ha valicato ogni confine in nome di una visione interdisciplinare, praticata quando il termine ancora non c’era".
John Ruskin
Pilastro acritano, lato meridionale della Basilica di San Marco, 1879
Acquerello, tempera su carta viola, 280 x 222 mm
Londra, The British Museum
Pervaso da spirito religioso maturato nell’Inghilterra vittoriana, animato da una visione etica, che lo spinse ad agire sul piano sociale e politico con l’obiettivo utopico di una società organica e felice per tutti (tanto che Gandhi ne sarà incantato), strenuo oppositore del meccanicismo e del materialismo che vedeva diffondersi, Ruskin nel corso della sua vita opera e s’interroga sulle questioni sociali, sull’arte, sul paesaggio e sulla Natura; scrive di mineralogia e di botanica, così come di economia, architettura e restauro, preoccupato che le tecniche allora in uso finissero con il cancellare gli edifici medievali.
La mostra fa una scelta e, non potendo dare conto della complessità di Ruskin e del suo genio versatile in tanti e diversi campi, si focalizza sull’artista, articolandosi attorno a cento sue opere che ne documentano la vocazione a tradurre in immagini la realtà, fissando su migliaia di fogli, a penna e acquarello, il suo "instancabile tentativo di comprendere il mondo". Si tratta eccezionalmente di prestiti tutti internazionali - un grande merito dell’esposizione - considerato che i musei italiani non custodiscono suoi lavori.
John Ruskin
Col de la Seigne, Courmayeur, 1849
Acquerello, matita su carta, 222 x 381 mm
Lancaster, Ruskin Foundation (Ruskin Library, Lancaster University)
"Lo sguardo colorato di Ruskin - scrive Ottani Cavina - sarà una rivelazione per il pubblico italiano, poiché è lui il più grande acquarellista dell’età vittoriana".
Monito per la salvezza di Venezia, la mostra vuole dunque essere anche una sfida a celebrare John Ruskin come grande e singolare pittore, al di là del suo eclettismo e della sua stessa determinazione a privilegiare la parola scritta.
La città, l’architettura, i grandi maestri veneziani di cui riproduce le opere reinterpretandole, la tensione a esplorare la natura, fra curiosità e immaginazione, sono i leitmotiv di questo incontro con i lavori di Ruskin, che da critico si batté per la modernità riconoscendo, in particolare, la forza rivoluzionaria della pittura di Turner, difeso contro i detrattori in vari scritti e nell’opera in più volumi "Modern Painters".
Un incontro fondamentale quello avvenuto, in giovane età, con un maturo Turner al quale, secondo Ruskin, "la natura ha dato un occhio particolare e un’immaginazione selvaggiamente bella": tanto che del "pittore della luce" saranno in mostra alcune straordinarie raffigurazioni della città lagunare, come Venezia, Punta della Dogana e Santa Maria della Salute prestato dalla National Gallery di Washington e Venezia, cerimonia dello Sposalizio del mare dalla Tate di Londra.
Joseph Mallord William Turner
Venezia, Punta della Dogana e Santa Maria della Salute, 1843
Olio su tela, 62 x 93 cm
The National Gallery of Art, Washington
Given in memory of Governor Alvan T. Fuller by The Fuller Foundation, Inc.
La pittura di Ruskin non punta in realtà al sublime come quella di Turner, né all’astrazione tutto colore e luce: è descrittiva, analitica, finalizzata a immortalare la realtà; eppure nello studio del dato naturale o nella ossessiva resa dei particolari architettonici c’è assoluta visionarietà, convinto - proprio dai quadri del «suo» Turner - che il vero artista sia un veggente, un profeta o, addirittura, uno «scriba di Dio», capace cioè di cogliere e rappresentare la verità divina contenuta nella realtà naturale.
Oltre al viaggio in Italia e alla fascinazione per la natura - con una serie di acquarelli che privilegiano il tema della montagna e i paesaggi della penisola - il cuore dell’esposizione è comunque il rapporto dell’artista con Venezia.
Questo legame, coltivato nell’arco di una vita, a partire dal primo incontro a sedici anni, e alimentato in undici viaggi tra il 1835 e il 1888, è esplicitato sotto diversi punti di vista - Studi di nuvole, Tramonti, Pleniluni, Scorci della laguna, Studi dai grandi pittori veneziani: Carpaccio, Veronese, Tintoretto - ma verte essenzialmente sul tema cruciale della "natura del gotico", con la sua riscoperta e celebrazione: il momento più alto dell’arte e dell’architettura non solo dal punto di vista estetico ma anche morale.
John Ruskin
Ca’ d’Oro, 1845
Matita, acquerello, tempera su carta grigia, 476 x 330 mm
Ruskin Foundation (Ruskin Library, Lancaster University), Lancaster
© Ruskin Foundation, Lancaster
Il testo di riferimento è il magnifico libro "The Stones of Venice" (1851-1853, 3 volumi), al quale si aggiungono le scenografiche tavole in folio degli "Examples of the Architecture of Venice", pubblicate negli stessi anni, e "St. Mark’s Rest", nato come revisione de "Le pietre di Venezia", dopo che egli aveva assistito alla demolizione di parti importanti della Basilica di San Marco, e divenuto una guida della città "per i pochi viaggiatori che ancora hanno a cuore i suoi monumenti".
Infine, ad accompagnare in questo affascinante viaggio, c’è anche una selezione dei Venetian Notebooks (taccuini di schizzi, misurazioni, piante, spaccati e fittissimi appunti), quindi manoscritti di Ruskin per "The Stones of Venice" (frammenti di carta azzurra mai prima esposti e conservati alla Morgan Library di New York), alcune prime edizioni a stampa, dagherrotipi, foto storiche e dipinti emblematici dei grandi pittori del Cinquecento veneziano a confronto con gli studi che il critico inglese aveva tratto da essi.

1)  John Ruskin, The Stones of Venice, vol. I, ch. I, § 1.

JOHN RUSKIN. LE PIETRE DI VENEZIA
Dal 10 marzo al 10 giugno 2018
Palazzo Ducale - Appartamento del Doge
San Marco, 1
Orario: Tutti i giorni dalle 8.30 alle 19. La biglietteria chiude un’ora prima.
Informazioni: info@fmcvenezia.it: call center 848082000 (dall’Italia); +3904142730892 (dall’estero). Prenotazioni: call center dedicato 0418627167 attivo dalle 9 alle 16.30, dal lunedì al venerdì.
www.palazzoducale.visitmuve.it/ruskin

martedì 29 maggio 2018

LARRY RIVERS. I TRE VOLTI DI PRIMO LEVI

Larry Rivers
Periodic Table
1987
cm. 186 h x 146 x 15
Olio su tela montato su poliuretano espanso modellato
In deposito presso la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino
Il Castello Gamba di Châtillon presenta la mostra LARRY RIVERS DALLA PINACOTECA AGNELLI. I TRE VOLTI DI PRIMO LEVI, un progetto della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, curato dalla direttrice Marcella Pralormo.
Un’occasione unica per ammirare tre ritratti di Primo Levi non visibili al pubblico, eseguiti dall’artista americano Larry Rivers e oggi custoditi negli uffici della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli a Torino. Il percorso espositivo, progettato da Marco Palmieri, permette di comprendere la passione per l’arte di Giovanni e Marella Agnelli, che li ha portati a collezionare opere importanti, scelte sempre in ragione del piacere estetico, indipendentemente dall’epoca o dalla corrente artistica di appartenenza.
Catello Gamba
Allestimento mostra
Nel 1987, in occasione di un viaggio a New York, subito dopo la tragica scomparsa di Primo Levi (1919-1987) - già studente del Liceo classico Massimo d'Azeglio di Torino come Giovanni Agnelli (1921-2003) -, l'Avvocato acquistò dalle Marlborough Galleries di New York tre ritratti dello scrittore dipinti da Larry Rivers.


Larry Rivers, il cui vero nome è Yitzhok Loiza Grossberg (1923-2002), nacque in America da genitori russi ebrei. Nel 1945, poco dopo aver cambiato nome, iniziò a dipingere, diventando un protagonista della pop art americana.
A metà degli anni Ottanta rimase profondamente turbato dalla lettura di Se questo è un uomo, suggeritagli dall’amico Furio Colombo, in quegli anni presidente di Fiat USA, che gli regalò una copia del libro. Rivers lesse tutte le opere di Primo Levi e scelse di animare e teatralizzare i romanzi più celebri in tre opere ancora oggi di proprietà della famiglia Agnelli: Witness, Survivor e Periodic Table.

 
I tre dipinti furono portati in Italia e collocati, per decisione dell’Avvocato, nella sede de "La Stampa", giornale per il quale Primo Levi aveva scritto a partire dal 1959, e in forma più continua dal 1968, saggi, racconti ed elzeviri della Terza Pagina. La sala, interdetta al pubblico poiché destinata alle riunioni più importanti e ai visitatori illustri per un primo saluto o un brindisi di benvenuto, venne da quel momento chiamata ‘Sala Primo Levi’. Dal 2002 le tele si trovano negli uffici della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino.
Pinacoteca Agnelli
©Andrea Guermani
Il Castello Gamba, progettato dall'ing. Carlo Saroldi in stile neomedievale è arroccato su un promontorio roccioso incastonato in un parco di oltre 50.000 mq ricco di essenze vegetali rare e preziose provenienti da tutto il mondo. Realizzato tra il 1903 e il 1905 per volere del barone torinese Carlo Maurizio Gamba affinché l’amatissima sposa Angélique Passerin d’Entrèves potesse trascorrere lunghi periodi all’anno vicina alla famiglia di origine, residente nel castello di Châtillon, dopo la morte dei coniugi Gamba, senza eredi diretti, l'edificio pervenne ai Passerin d'Entrèves, che nel 1982 lo vendettero alla Regione autonoma Valle d'Aosta. A seguito di un accurato restauro, gli ambienti ospitano oggi la ricca collezione regionale di arte moderna e contemporanea: un patrimonio costituitosi a partire dal 1948, con oltre 1.200 opere di pittura, scultura, grafica e fotografia, dall'Ottocento ai primi anni Duemila.
Castello Gamba
Veduta del parco
(foto Enrico Romanzi)
Inaugurata nel settembre 2002 per ospitare i capolavori donati da Giovanni e Marella Agnelli, la Pinacoteca Agnelli è stata progettata da Renzo Piano sul tetto del Lingotto di Torino, prima sede della Fiat - opera degli anni Dieci e Venti del Novecento dell'ingegner Giacomo Mattè Trucco.
Lo "scrigno" - come lo definisce Renzo Piano - accoglie 25 straordinari capolavori datati dal Settecento alla metà del Novecento: un nucleo di sette tele di Matisse, un dipinto di Balla del 1913 sul tema della velocità dell’automobile, opere di Severini, Modigliani, Tiepolo, Renoir e Manet. La collezione comprende anche sei preziose vedute di Venezia del Canaletto e due vedute di Dresda di Bernardo Bellotto, impiegate come precisi modelli per la ricostruzione della città dopo la seconda guerra mondiale. Non mancano due opere di Picasso, una del periodo blu e l'altra del periodo cubista, e ancora la Danzatrice con dito al mento e la Danzatrice con mani sui fianchi, modellate in gesso da Antonio Canova. Nei cinque piani inferiori la Pinacoteca ospita le esposizioni temporanee, un centro didattico per l’arte, gli uffici e un bookshop.
Pinacoteca Agnelli
Vista esterna
LARRY RIVERS DALLA PINACOTECA AGNELLI. I TRE VOLTI DI PRIMO LEVI
12 maggio - 23 settembre 2018
Castello Gamba
Località Crêt-de-Breil - 11024 Châtillon (Valle d’Aosta)
Coordinate GPS 45.747492,7.603397
Orario: tutti i giorni dalle 13 alle 19
Tel. +39 0166 563252; info.castellogamba@regione.vda.it
Per info e visite: www.pinacoteca-agnelli.it; www.castellogamba.vda.it

lunedì 28 maggio 2018

VIÙ D’ORO - 2018


La Pro Loco di Viù indíce il concorso di pittura VIÙ D’ORO - 2018.
L'esposizione, che si terrà dal 12 al 23 agosto, prevede l’attribuzione di due distinti premi:
- Premio per opere a tema, denominato Viù, colori ed emozioni, per soggetti legati al territorio: paesaggi, scorci dell’abitato, oggetti legati strettamente alla tradizione locale o al paese.
- Premio per opere a tema libero, per elaborati con qualsiasi altro soggetto.
La cerimonia di premiazione sarà patrocinata dal Presidente dell’Unione dei Comuni "Alpi Graie", dal Sindaco e dal Presidente della Pro Loco del Comune di Viù.
Per informazioni dettagliate e per le modalità di partecipazione si rimanda al testo integrale del bando, scaricabile dal sito del Comune di Viù, oppure al link sottostante.


VIÙ D’ORO - 2018
Dal 12 agosto al 23 agosto
Inaugurazione: domenica 12 agosto dalle ore 17
Centro polifunzionale del Comune di Viù
Orario: tutti i giorni dalle 10 alle 12.00 e dalle 15 alle 20
Ingresso libero.
Per informazioni tel. 0123 69.61.01 - 0123 69.65.27
www.comune.viu.to.it

domenica 27 maggio 2018

OLTRE IL VIAGGIO

Pietro Ayres
Giulia e Tancredi di Barolo
Palazzo Falletti di Barolo propone la mostra dedicata ai viaggi per l’Europa di Carlo Tancredi e Giulia Colbert marchesi di Barolo, in cui sono esposti per la prima volta al pubblico dieci preziosi diari manoscritti redatti tra il 1805 e il 1834, indizi del desiderio di conoscenza e confronto della coppia su temi culturali, politici e del loro vivo interesse per le conquiste internazionali in campo tecnico-scientifico. La rassegna, visitabile fino al 3 giugno 2018, resa possibile grazie ai prestiti di musei torinesi, è parte di un ampio progetto volto alla valorizzazione dell'Archivio Storico dell’Opera Barolo recentemente riordinato.
Il viaggio, sia come fenomeno esistenziale, sia come fonte di produzione letteraria, ha avuto nel corso della storia diverse connotazioni: all’inizio del XIX secolo diventa sinonimo di cultura, occasione per dilatare gli orizzonti mentali e approfondire usanze e tradizioni locali del ceto popolare, in linea con le aspirazioni romantiche di Chateaubriand, de Stäel e Goethe.
Orologio da viaggio
Carlo Tancredi (Torino, 1782 - Chiari, 1838) inizia a conoscere gli Stati Europei viaggiando con il padre Ottavio che rinuncia alla carriera militare per dedicarsi all’educazione del figlio. Nel 1805 il giovane intraprende per incarico dell’imperatore Napoleone Bonaparte spedizioni diplomatiche nell’area mitteleuropea.
I suoi diari, confezionati come guide turistiche dai dettagliati itinerari, presentano una forte componente introspettiva nel fissare personaggi, idee, fatti e nel descrivere episodi curiosi, avvenimenti storici, monumenti artistici. In tal senso il Journal d' un Voyage à Londres dans l' Eté de 1816 è il più interessante: descrive i telai meccanici, il telaio Jaquard (in mostra una spoletta volante e alcune schede perforate) e l'impianto di Londra per la produzione di gas illuminante (rappresentato dal "fanale a gas da palo" e dal modello in scala provenienti dal Museo Italgas), teorizzata da Friederich Christian Accum nel Practical Treatise on Gas Light (1815), tradotto nel 1817 da Silvio Pellico. Molte le annotazioni pedagogiche che applicherà in Piemonte come benefattore e amministratore pubblico (nel 1826 è nominato sindaco di Prima Classe di Torino). Istituisce le scuole gratuite di Disegno applicato alle arti e mestieri, fa costruire il primo asilo infantile, onde promuovere il metodo didattico di Joseph Lancaster e Andrew Bell.
Tancredi di Barolo
Paesaggio
Anche Giulia Colbert (Maulévrier, Fr. 1785 - Torino, 1864) viaggia fin da piccola per ragioni di salute: alle terme di Aix-les-Bains, incontrerà Alphonse de Lamartine, a cui sarà legata da autentica stima. Lasciata la Francia intorno al 1790 a causa della Rivoluzione, vivrà in esilio con la famiglia in Olanda e in Germania, facendo ritorno in patria nel 1802.
Donna colta, di raffinato gusto artistico, fervente cattolica (in mostra il suo libro di preghiere), possedeva una vasta cultura che non si stancò mai di alimentare con buone letture e con approfonditi studi un po’in tutti i campi, dalle scienze alle lettere alle lingue straniere.
Intrattenne rapporti di amicizia con personalità dell’epoca, come lei impegnate nelle iniziative sociali a favore delle classi meno abbienti, quali Monsignor Dupaloup, vescovo d’Orleans, educatore di grande ingegno e profonda religiosità e l’abate Légris-Duval, infaticabile nella predicazione e nelle opere di carità. Fu anche in contatto con la marchesa Adelaide de Pastoret, fondatrice della prima sala d’asilo di Parigi, con Armand de Melun, dedito all'organizzazione dell’assistenza caritativa, e con Elizabeth Fry, responsabile del miglioramento delle condizioni delle detenute nelle carceri inglesi.
Giulia di Barolo
Lettere a Silvio Pellico
durante il viaggio in Italia
(2 novembre 1833)
Giulia e Tancredi si conobbero alla corte di Napoleone e convolarono a nozze il 16 agosto 1806, come attesta il Contratto di matrimonio conservato a Torino, presso l'Archivio Storico della Famiglia Falletti.
Spinti da una forte volontà di conoscenza i coniugi visitarono parte del veccho continente (il primo viaggio li condurrà in Germania, nel 1806) alla scoperta delle bellezze artistiche e di paesaggi naturali. In tre mesi registrano 54 chiese e circa 100 musei in Italia (significativi alcuni busti classici a matita e gli acquerelli di gusto ruinistico firmati da Giulia, e i paesaggi o le Tombe papali realizzati a china da Tancredi). Ciaspole e scarponi chiodati per arrampicata, la piccozza leggera, il binocolo, la corda, sono fra gli oggetti esposti che narrano delle numerose escursioni nelle vette alpine raccontate in ben sette diari, ottenuti dalla trascrizione di appunti originali in lingua francese.
Giulia di Barolo
Occhiali da sole
La mostra, curata da Edoardo Accattino, si articola nei sotterranei e al piano terreno di Palazzo Barolo, ed espone parte dei volumi della biblioteca, disegni e piccoli souvenir acquisiti dai marchesi durante i loro soggiorni, oggi conservati nelle raccolte di Palazzo Madama, oltre ad un video che documenta la ricca collezione di dipinti recentemente venduta all'asta per continuare, con i proventi, l'opera umanitaria. Fra i memorabilia, alcune antiche bottiglie appartenute alla Famiglia ricordano la stagionatura del vino - marchio d'eccellenza ottenuto dalle uve Nebbiolo del Castello Falletti a Barolo (Cn), nelle Langhe - avvenuta fino ai primi del Novecento negli interrati di via Corte d'Appello. 
L’illuminata visione filantropica dei Marchesi prosegue ancora oggi nell’Opera Barolo, istituita nel 1864 per volere testamentario di Giulia e, dal 2002, con le attività della Fondazione Tancredi di Barolo.

OLTRE IL VIAGGIO...
Giulia e Tancredi alla scoperta dell'Europa

Dal 24 febbraio al 3 giugno 2018
Palazzo Barolo
Via Corte d'Appello 20/c - Torino
Orari: da martedì a venerdì e domenica 10 - 12,30 e 15 - 18,30; sabato 15 - 18,30. La biglietteria chiude un'ora prima.
Info: palazzobarolo@arestorino.it; t. 011 2636111

venerdì 25 maggio 2018

IVAN STEFANUTTI E IL DISEGNO DEL COSTUME


Martedì 29 maggio alle ore 17, alla Fondazione Musei Civici di Venezia - Museo di Palazzo Mocenigo presso il Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume, sarà possibile esplorare l'arte di disegnare il costume grazie al regista, scenografo e costumista teatrale Ivan Stefanutti.
Andrea Merli, critico e corrispondente della trasmissione di Radio RAI "La Barcaccia", lo definisce "un profondo conoscitore della macchina scenica, del repertorio classico, che ha sempre affrontato con analisi approfondite e studio, sia nel campo del musical, sia dell’opera che dell’operetta, di cui è uno dei pochi detentori dello stile e dell’anima popolare che essa ha insita nella sua struttura".
L'incontro è organizzato da SCSA (Centro Studi per le Arti Sceniche) e dalla rivista The Scenographer, che ha dedicato a Stefanutti una recente monografia.
L'incontro sarà moderato da Stefano Nicolao, docente dell'Accademia delle Belle Arti di Venezia.
Ingresso libero, fino ad esaurimento dei posti disponibili.

mercoledì 23 maggio 2018

METAMORFOSI

Ingela Ihrman
Litchi and rambutan

(I litci e il rambutan), 2016
Plastica, carta, tessuto, lacca, colla bianca, farina di frumento
2 elem. 50 x 50 x 50 cm; 30 x 40 x 40 cm
Allestita nella Manica Lunga del Castello di Rivoli, la mostra Metamorfosi - Lasciate che tutto vi accada, a cura di Chus Martínez, presenta installazioni, sculture, azioni performative, dipinti e video di Nicanor Aráoz (Buenos Aires, 1980), Ingela Ihrman (Strängnäs, 1985), Eduardo Navarro (Buenos Aires, 1979), Reto Pulfer (Berna, 1981), Mathilde Rosier (Parigi, 1973), Lin May Saaed (Würzburg, 1973) e Ania Soliman (Varsavia, 1970), per invitare l’osservatore alla percezione di ciò che va al di là della parola umana e può esprimersi solo nella natura.
Per l’arte di oggi è importante distinguere la vecchia idea "moderna", otto-novecentesca, di "cambiamento" dalla nozione contemporanea di "trasformazione". "Questa trasformazione - afferma Carolyn Christov-Bakargiev, direttore del Castello di Rivoli - è basata sulla metabolizzazione: i lavori in mostra indagano in che modo siamo vitali e come creiamo noi stessi come forme dionisiache in movimento, superando ogni fissità inerte".
Come sostiene la curatrice della mostra, "Metamorfosi rappresenta l’esercizio del pensare la vita con l’immaginazione e soprattutto senza gerarchie e vincoli. Gli artisti hanno cercato di restituire con il loro gesto libero, svincolato da stili o generi la segreta tessitura della natura, quelle tracce sottili che liberano il pensiero, lo invitano allo sconfinamento, all’aperto".
Mathilde Rosier
Blind swim 2
(Nuotata cieca 2), 2016 - 2017
Olio su tela
210 x 122 cm
Nicanor Aráoz (Buenos Aires, 1980) vive e lavora a Buenos Aires, produce oggetti, installazioni e sculture utilizzando come riferimento il fumetto, l’immaginario di internet e le mitologie romantiche tratte dall’arte gotica. I suoi metodi di matrice surrealista danno vita a opere dalle forme oniriche e deliranti.
Ingela Ihrman (Strängnäs, 1985) vive e lavora a Malmö. Spazia dalla performance, all’installazione, alla scrittura. Le sue creature, colte in momenti vitali come nascere o fiorire, sono confezionate con cura artigianale e con materiali di varia provenienza  - canna, carta, filo di nylon, plastica, lacca, cinghie di nylon, gommapiuma, farina di frumento - coniugando elementi del teatro amatoriale e della scienza. Tra verosimiglianza e artificio, Litchi e il rambutan, La Panace gigante, etc., si dispongono nell'ampio corridoio, prospicienti il panorama esterno, con alberi frondosi e la catena montuosa a cingere il Museo.
L' arte di Eduardo Navarro (Buenos Aires, 1979) comprende azioni fisiche, congegni personalizzati, installazioni e sculture. Esse richiedono un certo dispiego di tempo e hanno un notevole impatto sullo spettatore in quanto implicano l’incontro diretto tra persone e natura. Nei suoi lavori integra il metodo empirico al confronto diretto con diversi specialisti e studiosi. Navarro ha esposto, fra l'altro, al Museo Tamayo di Città del Messico e a New York. Vive e lavora a Buenos Aires.
Eduardo Navarro
Celestial numbers
(part.)
(Numeri celestiali), 2018
Pane e legno
400 x 400 cm
Reto Pulfer (Berna, 1981) vive e lavora a Berlino, indaga il cambiamento a partire dall’ambivalente nozione di "stato", intesa come movimento e stasi anche in rapporto al modo in cui le sue opere sono percepite, alle situazioni impermanenti e instabili che esse generano e sviluppano. Ha tenuto personali a Londra e in Portogallo.
Mathilde Rosier (Parigi, 1973) vive e lavora in Borgogna. Nei suoi film, nelle performance, nelle installazioni e nei dipinti, la danza e la musica hanno un ruolo fondamentale. Dopo aver dedicato gran parte della sua pratica artistica all’indagine su una possibile fusione tra regno animale ed essere umano, in Blind swim (Nuotata cieca), serie surreale di figure antropomorfe, focalizza la la rappresentazione sulla figura umana in movimento.
Anche le sculture, i disegni e i testi di Lin May Saeed (Würzburg, 1973) mettono al centro l'essere umano, in rapporto con gli animali e la storia del pianeta, passando dalle narrazioni preistoriche, al modernismo, al primitivismo. Emblematici l'altorilievo polimaterico Nus, del 2012, in polistirolo, acciaio, foglio di alluminio, legno, corda, gesso, lacca e Grane (2013), opera di stampo muralista realizzata con ritagli, carta trasparente, cartone retroilluminato, legno, clip audio (fischio melodioso, 1'58"), i-pod, cuffie, panchina. Ha esposto in molte località internazionali fra cui Città del Messico e Basilea. Vive e lavora a Berlino e Düsseldorf.
Reto Pulfer
Theaceaes Traum

(Il sogno di Theaceae), 2008 - 2018
Matita, inchiostro, acrilico su lenzuola, abiti, lino, cotone, nastro
Dimensioni determinate dall'ambiente
Ania Soliman (Varsavia, 1970) è un’artista interdisciplinare con un ricco background multiculturale. La sua pratica artistica si basa sull'utilizzo di vari tipi di disegno: il tracciato, il design, il diagramma, il segno espressivo, sulla realizzazione di video, testi e installazioni. Il progetto più recente ha per oggetto i reperti e la loro collocazione nelle collezioni di antropologia. Espone al Whitney Museum di New York, nelle personali di Basilea, Amburgo e in collettive a Barcellona e Anversa. Vive e lavora a Parigi e New York.
Lin May Saeed
Grane
, 2013
Ritagli, carta trasparente, cartone retroilluminato,
legno, clip audio (1'58"), i-pod, cuffie, panchina
325 x 570 x 60 cm
Alexa Karolinski (Berlino, 1984) è una regista tedesco-canadese. Spazia dal mondo dell’arte a quello del cinema e dei video commerciali. I suoi lavori video sono stati esposti in diverse occasioni: al Berlin Festival, al Museum of Art and Design di New York e al MoMA-PS1. Collabora con istituzioni artistiche come il MOCA di Los Angeles, dove vive e lavora.
Lo scrittore Ingo Niermann (Bielefeld, 1969), di stanza a Basilea, è curatore editoriale alla Sternberg Press della serie di libri di speculazione Solution.
Insieme ad Alexa Karolinski nel 2016 dà vita al progetto Army of love (L'armata dell'amore, video in HD, 40') - basato sul suo scritto Solution 257: Complete Love -, commissionato da 9th Berlin Biennale for Contemporary Art. Anche qui la narrazione ruota intorno all'essere umano. Un corpo inerme mostra la sua disarmante disabilità. Il respiro affannoso di un neonato suscita apprensione e protezione. La danza rituale a bordo piscina, costruisce uno spazio relazionale nel contatto fra le persone, mediante il trasferimento di "energia e vitalità".
Metamorfosi
Foto allestimento
Chiude la rassegna I have left you the mountain, progetto sonoro di ascolto collettivo dedicato all’idea di transizione e migrazione, a cura di Simon Battisti, Leah Whitman-Salkin e Åbäke, al suo debutto nel 2016 presso il Padiglione Albania alla 15a Mostra Internazionale di Architettura de La Biennale di Venezia. Si compone di dieci testi scritti da pensatori contemporanei,  musicati da Etel Adnan, Mourid Barghouti, Michel Butor, Claire Fontaine, Yona Friedman, Anri Sala, Micheal Taussig, Yanis Varoufakis e Finn Williams, fra gli ultimi musicisti a comporre ed eseguire iso-polifonia albanese, eletta "patrimonio culturale intangibile" UNESCO.
Accompagna la rassegna, il catalogo bilingue (inglese/italiano) con saggi del curatore e immagini selezionate dagli artisti, edito dal Castello di Rivoli.

METAMORFOSI
Lasciate che tutto vi accada

Dal 6 marzo al 24 giugno 2018
Castello di Rivoli
Piazza Mafalda di Savoia - 10098 Rivoli (To)
Orario: da martedì a venerdì 10 - 17; sabato e domenica 10 - 19. La biglietteria chiude 15 minuti prima della chiusura.
Info: +39 011 9565222
www.castellodirivoli.org

giovedì 17 maggio 2018

GIORGIO DE CHIRICO

Giorgio de Chirico
Muse metafisiche, 1918
Olio su tela
Collezione Francesco Federico Cerruti per l'Arte
Deposito a lungo termine, Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea
La mostra Giorgio de Chirico. Capolavori dalla Collezione di Francesco Federico Cerruti, a cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marcella Beccaria, presenta per la prima volta al Castello di Rivoli alcuni capolavori di Giorgio de Chirico provenienti dalla collezione di Francesco Federico Cerruti (Genova, 1922 - Torino, 2015). Per ammissione dello stesso de Chirico, Torino, luogo che vide l’esplosione della pazzia di Nietzsche, è tra le città italiane che ispirarono i primi quadri metafisici con le loro atmosfere malinconiche.
In linea con lo spirito dell'eclettico patrimonio privato, che dai fondi oro medievali spazia all’arte contemporanea, la rassegna mette in relazione le opere del Pictor optimus con alcuni capisaldi della collezione permanente del Museo.
Nato a Volos, in Grecia nel 1888, e vissuto ad Atene, Monaco di Baviera, Milano, Firenze, Parigi, Ferrara, New York, Roma, dove morirà nel 1978, dopo gli studi al Politecnico di Atene e all’Accademia di Belle Arti di Monaco - periodo in cui approfondisce la pittura simbolista di Arnold Böcklin e si avvicina al pensiero filosofico di Arthur Schopenhauer e di Friedrich Nietzsche -, de Chirico arriva in Italia nel 1909. Nel 1911 è per un breve periodo a Torino, città dalle lunghe ombre pomeridiane, dalla griglia ordinata di strade, con piazze e teorie di portici, che gli pare "costruita per le dissertazioni filosofiche".
Giorgio de Chirico
Il saluto degli Argonauti partenti, 1920
Tempera su tela
Collezione Francesco Federico Cerruti per l'Arte
Deposito a lungo termine, Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea
Afferma la direttrice Carolyn Christov-Bakargiev: "In de Chirico la riscoperta della mitologia classica non avviene come nel Rinascimento per ricostruire una storia del passato, ma per uscire dalla Storia".
Presentato nelle sale auliche al primo piano della Residenza Sabauda, l'itinerario pone in relazione Muse metafisiche (1918) con Casa di Lucrezio (1981) di Giulio Paolini, in merito ai temi del doppio e dell’enigma poetico, in continuità con Il Trovatore (1922) e la meraviglia della sospensione metafisica pura de Il saluto degli Argonauti partenti (1920). La centralità del soggetto è invece nell'accostamento tra Autoritratto con la propria ombra (ca. 1920) e l’imponente L’architettura dello specchio (1990) di Michelangelo Pistoletto, mentre Interno metafisico (con faro) (ca. 1918) si apre al contrasto con le architetture immaginifiche dipinte da Franz Ackermann. Il percorso continua con la Composizione metafisica (1916) e le opere di Fabio Mauri. All’insegna dell’interesse per dettagli concreti, tratti con apparente semplicità dalla vita quotidiana sono Interno metafisico (1917) e le opere di Alighiero Boetti. A completare il percorso, Due cavalli (1927) e Novecento (1997) di Maurizio Cattelan, contrappongono l’impeto dionisiaco del Maestro e la cinica e sconsolata visione dell’artista contemporaneo.
Giorgio de Chirico
Due cavalli, 1927
Olio su tela
Collezione Francesco Federico Cerruti per l'Arte
Deposito a lungo termine, Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea
Custodita nella Villa Cerruti di Rivoli, appositamente voluta dall’imprenditore torinese negli anni Sessanta per ospitarvela, la raccolta per anni accessibile solo a pochi e fidati "amici intenditori", rappresenta un unicum nella storia del collezionismo privato italiano per vastità e importanza.
È l’esito di un lavoro di ricerca e selezione durato circa 70 anni, un'avventura eccezionale che riverbera la personalità schiva, silenziosa e austera di un uomo appassionato spinto dal desiderio di sottrarre al transitorio e all’effimero la bellezza immutabile della creazione artistica.
Nella villa di Rivoli, che sarà aperta al pubblico nel 2019, sono conservate opere rarissime  dal Medioevo fino all’età contemporanea passando per il Surrealismo e le principali correnti del Novecento.
È un percorso di formazione, di affinamento della sensibilità, di ricerca del sublime che si avverte in tutti i capolavori della collezione - vasi, arredi, quadri, statue, libri e rari tappeti - intesa come totalità e iniziata da un Cerruti giovanissimo con l’acquisto di un disegno del 1918 di Kandinsky. Un rapporto esclusivo e assoluto con l’arte che si evince dalla cura degli accostamenti e dalla disposizione degli oggetti nello spazio, in sintonia con una personale geografia affettiva.
Giulio Paolini
Casa di Lucrezio, 1981-1984 (part.)
2 teste e frammenti in gesso, basi in legno, pittura acrilica, tessuto,
4 basi in legno 120 x 30 x 30 cm ciascuna
Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea
Di particolare interesse e perfettamente conservati sono i medievali fondi d’oro con cui egli amava iniziare le rare visite al "suo museo". Indiscutibile è il valore dei pittori sacri Bernardo Daddi, Gentile da Fabriano, Sassetta - autore del Sant’Agostino nella camera padronale - e Neri di Bicci. Dai maestri rinascimentali Dosso Dossi, Pontormo, ai successivi Tiepolo, Ribera, Sebastiano Ricci, Fra’ Galgario, si passa alle opere allegoriche di Batoni, negate al Getty Museum, per giungere ai più recenti Pellizza da Volpedo, Jawlensky, Balla, Boccioni, Casorati, Severini, Picasso e Magritte. Dieci esemplari di de Chirico collocati nella sala da pranzo della villa gareggiano con opere di Modigliani, Bacon e Giacometti, si contendono la scena con Warhol, Paolini, Burri e Manzoni, fino all'ultima acquisizione, Jeune Fille aux Roses (1987) di Renoir. Molti gli autoritratti o i ritratti di uomini soli:  Ritratto di un gentiluomo con libri (1534-1535) di Pontormo, Studio per Ritratto IX (1957) di Francis Bacon, Ritratto di Harry Melville (ca. 1930) di Man Ray, altrettante proiezioni figurate dello stesso Cerruti.
Oltre ai capolavori di alta ebanisteria - il secrétaire in avorio di Piffetti e due divani disegnati dall’architetto Filippo Juvarra - la Collezione Cerruti contempla libri, incunaboli, rare edizioni e rilegature preziose fra cui il più ambizioso progetto editoriale del XVII secolo: l’Atlas Maior di Joan Blaeu in dodici volumi perfettamente conservati, e una copia di À la recherche du temps perdu, in un’elegante finitura Art Déco. Testimonianze uniche a suggello di una vita spesa per l'arte e per il lavoro, scandito dai ritmi familiari della Legatoria Industriale Torinese.

GIORGIO DE CHIRICO
Capolavori dalla Collezione di Francesco Federico Cerruti

Dal 6 marzo al 27 maggio 2018
Castello di Rivoli
Piazza Mafalda di Savoia - 10098 Rivoli (To)
Orario: da martedì a venerdì 10 - 17; sabato e domenica 10 - 19. La biglietteria chiude 15 minuti prima della chiusura.
Info: +39 011 9565222
www.castellodirivoli.org

lunedì 14 maggio 2018

OSSERVO, CREO, RACCONTO

La mostra OSSERVO, CREO, RACCONTO. Dialoghi tra Arte / Artistico e Architettura: dal disegno alla fotografia al video, intende far conoscere gli esiti del workshop che ha coinvolto  gli studenti del Corso di Laurea Triennale in Architettura del Politecnico di Torino e del 4° anno del Liceo Artistico "R. Cottini" di Torino, con l'intento di costruire una piattaforma comune per trasmettere e raccontare aspetti peculiari dell'architettura e dell'ambiente. Dalla ricerca creativa, che ha impegnato gli studenti nello scorso mese di febbraio, è scaturito un linguaggio reso più completo dal confronto tra specifici modi di raccontare l'architettura. Un codice multidisciplinare fondato sulla capacità di osservazione critica e sulle potenzialità grafico-espressiva, fotografica e virtuale degli studenti.
Oggetto di indagine è stato il Castello del Valentino, il suo rapporto con il tessuto urbano, il parco e il fiume, senza tralasciare la composizione architettonica dei fronti, le coperture, lo scalone, sino agli elementi di dettaglio come le decorazioni, cercando di comprenderne i molteplici legami con la storia. Le immagini ottenute variano dal disegno a mano libera (con tecniche differenti), alla fotografia, al video, al grande 'dipinto collettivo' su tela, lungo 10 metri.
La mostra sarà presentata presso la Facoltà di Architettura di Torino il 30 maggio 2018 alle ore 18 alla presenza di Antonio Balestra (Preside Liceo Artistico "R. Cottini"), Gian Giorgio Massara (Storico dell'Arte) e dei docenti del workshop Pia Davico, Davide Anzalone, Ornella Bucolo, Daniela Miron e Claudio Rabino.

OSSERVO, CREO, RACCONTO
Dialoghi tra Arte / Artistico e Architettura: dal disegno alla fotografia al video

Castello del Valentino - Sala delle Colonne
Viale Pier Andrea Mattioli, 39 - 10125 Torino
Inaugurazione: mercoledì 30 maggio 2018 - ore 18
Esposizione: 31 maggio e 1 giugno 2018 con orario 9 - 12 e 15 -17

domenica 13 maggio 2018

FRANCIS BACON. MUTAZIONI

Figura seduta
1992
Pastello e collage su carta
cm 100 x 150
Palazzo Cavour ospita a Torino, fino al 20 maggio 2018, la mostra Mutazioni con una selezione di opere realizzate da Francis Bacon durante i suoi periodici soggiorni in Italia. 60 disegni e collage, degli oltre 500 attualmente presenti nella Francis Bacon Collection, realizzati fra il 1977 e il 1992, arricchiti da contenuti video con le testimonianze del giornalista e prestatore Cristiano Lovatelli Ravarino (effigiato in due ritratti a matita) e del critico Edward - Lucie Smith, che ebbero modo di indagarne la comlpessa identità.
La rassegna, curata da Gino Fienga, si pone come viaggio intorno alla figura umana, manifesto della condizione psicologica dell’individuo, della sua contraddittoria mutevolezza, metafora stessa della vita.
Ritratto di Cristiano Lovatelli Ravarino
1977 - 1992
Matita su carta
cm 100 x 70
Francis Bacon (Dublino 1909 - Madrid 1992), nato in Irlanda da una famiglia di origini nobili, la quale vantava di avere tra gli antenati paterni il filosofo Francesco Bacone, è un grande bevitore, giocatore sciagurato e un artista omosessuale in un’epoca e in una nazione in cui ciò è perseguito come reato. Nelle sue opere c’è l’angoscia di un’esistenza dolorosa, di una vita lacerata da conflitti irrisolti e da aneliti di riscatto personale.
Sofferente d’asma, difetto che lo sminuì agli occhi paterni, instaurò un legame importante con la nonna. Allontanato dalla famiglia a causa delle proprie inclinazioni e per la conflittualità costante che regnava in casa, il giovane nel 1926 si trasferì a Londra, appassionandosi a Nietzsche e al mondo dell’interior design. Uomo controverso, sregolato, artista maudit, Bacon seppe riconoscere la grandezza dei Maestri del passato, dai quali liberamente si lasciò ispirare nelle sue composizioni, da Picasso a Guercino, da Leonardo da Vinci a Velázquez e molti altri ancora. Attento anche alle tecniche fotografiche, le sue opere sono debitrici dello studio delle immagini di Eadweard Muybridge, pioniere della fotografia.
Francis Bacon
Testa
1977 - 1992
Pastello e collage su carta
cm 70 x 100
Attraverso le sale dello storico palazzo settecentesco, si snoda il percorso tematico intorno al quale Bacon sviluppa il proprio immaginario: mutazioni, figure ruotanti, figure sedute, in piedi, crocifissioni, i papi, le teste e i ritratti, forme contorte che scandagliano i recessi più nascosti dell'animo in una sorta di psicoanalisi collettiva.
Tratti potenti e visionari, portano in superficie una dimensione interiore popolata da demoni e verità rimosse, dolori e ambiguità della coscienza, specchio di un disagio sociale diffuso tra fine Ottocento e inizio Novecento, in bilico fra valori borghesi e istanze di ribellione, quanto mai attuali nel rinnovato dibattito sui valori etici e morali che regolano il comportamento del corpo sociale.
In questa folla di personaggi, tipologie comuni, o rappresentazioni di una tumultuosa emotività, emerge la profonda solitudine, la visione nichilista della storia, incapace di sottrarsi ad un destino di ineluttabile sofferenza e in perenne combattimento con forze laceranti, domate solo in parte nel momento di elaborazione creativa.
Figura ruotante
1987
Matita su carta
cm 100 x 70
Opere che gridano al mondo e tendono, in qualche modo, ad una dimensione trascendente, ponendo quesiti cogenti sul senso dell'esistenza, sui grandi temi escatologici che interrogano l'uomo nel suo divenire.
In primo piano emergono i volti, sia negli autoritratti, sia in soggetti anonimi, quali facce contrapposte di una stessa medaglia. Immagini seriali tumefatte, sfregiate, dilaniate, cancellate da colpi di gomma, trasfigurate con metodico accanimento.
La rassegna presenta un corpus di disegni a matita, pastelli e collage su fogli di carta di grandi dimensioni caratterizzati da poche varianti formali.
I corpi sono delineati al tratto, per conglomerarsi nell'incarnato fuligginoso squarciato da bocche ferine e da occhi infossati colmi di inquietudine.
Umana bestialità che diventa maschera tragicomica nel babbuino oppure silente in alcune versioni di ritratti e autoritratti. Potente mezzo espressivo, qui più che altrove il colore amplifica un ampio spettro di sentimenti, particolarmente nelle figure sedute e nelle crocifissioni, oppresse da uno sguardo incombente, tutt'altro che gloriose, marcate con veemenza in colori a pastello e collage.
Crocifissione
1977 - 1992
Pastello e collage su carta
cm 70 x 100
Nudità dell'anima o fisica, nulla è tenuto nascosto, al di sotto di un habitus borghese, conformista, l'intimità viene messa a nudo in tutta la sua spudorata, viscerale miseria. Malgrado questo, trovano spazio citazioni auliche di stampo religioso, lui di famglia cattolica, nelle opere ispirate all'Innocenzo X di Velasquez, o nell'iterazione del cerchio, simbolo del divino, chiaro segno di una spiritualità mai del tutto pacificata, se non, forse, soltanto in punto di morte.
Segnato da episodi violenti durante l'assedio di Dublino negli anni della Grande Guerra e dagli attacchi dell'IRA si interessò in manierà ossessiva alla storia del terrorismo, agli episodi di guerra, alle vicende di spionaggio. Abbonato alle riviste dei carcerati, intrattenne un rapporto epistolare con un serial killer londinese balzato agli onori della cronaca negli anni '70.
Sebbene tormentato da un pressante desiderio di credere, si dichiarò risolutamente ateo, a tal punto da donare il proprio corpo alla scienza. Agitato per una vita da passioni e amori impossibili, morì, per ironia della sorte, accudito dalle suore in una clinica di Madrid.

FRANCIS BACON
Mutazioni

Fino al 20 maggio 2018
Palazzo Cavour
Via Cavour 8, Torino
Orario: lunedì - venerdì 10 - 18; sabato 10 - 20; domenica 10 - 19. Giorni festivi  10 - 20.
Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.
Prenotazioni visite guidate: 011 0881178
Info: 011 19214730; info@nextexhibition.it