giovedì 3 maggio 2012

Interviste/GUGLIELMO CASTELLI

Guglielmo Castelli
Guglielmo Castelli (Torino, 1987) è presente con la mostra personale Chiama quando arrivi presso la Galleria l'église, in via Lagrange 13 a Torino, dal 3 maggio al 7 giugno 2012.

Ti definisci illustratore o pittore?
Sono partito da una matrice illustrativa, ma l'illustrazione era troppo limitante. Il minimalismo, basato sull'equilibrio tra detto e non detto non può esserci e quindi avevo la necessità di dedicarmi alla pittura.
Tra l'altro non sei alla tua prima mostra personale...
No, la prima è stata alla Galleria DAC di Genova nel 2010, l'anno scorso ho iniziato una meravigliosa collaborazione con la Galleria Il Segno di Roma, con la quale ho partecipato alla rassegna Bologna Arte Fiera e, dopo questa personale con venti lavori realizzati appositamente, inaugurerò un'esposizione ad ottobre ad Amsterdam.
Sei un artista molto giovane, hai qualche maestro di riferimento?
Come tipologia stilistica, sicuramente Bacon e Bruegel, guardo a certi aspetti antropomorfi di Louise Bourgeois e, nell'ultimo periodo, ai colori liquidi di Peter Doig. Mi affascinano i suoi paesaggi con figure umane perse nella natura, il modo in cui indaga il rapporto uomo-natura.
Ne deduco che non ti interessano i linguaggi multimediali e i nuovi media.
No. Il messaggio fondamentale nel mio caso parte dal titolo. Gran parte delle didascalie sono tratte da romanzi, come ad esempio Cent'anni di solitudine. Partendo da una matrice illustrativa e figurativa molto marcata ho anche un legame forte con la parola, per cui la maggior parte delle volte è da lì che parto.
Non sempre esiste un'identità fra titolo e immagine. Lo scarto di significato è voluto per aumentare il senso di spaesamento?
Sì, uno scarto c'è, anche se poi alcuni elementi del titolo sono riconducibili alle figure. Ad esempio nell'opera Quando il tutto poi è la stessa cosa il titolo allude alla ricomposizione della forma, pur conservando una propria autonomia. L'idea è quella di dare allo spettatore una possibile chiave di interpretazione offrendogli un possibile punto di vista. L'artista non è un eletto che fa un lavoro migliore di un altro e non esiste un'arte unilaterale.
E' difficile focalizzare un punto di vista nel coas di immagini che ci pervade?
Il mio lavoro è molto estetico e sto cercando un equilibrio, se giusto o sbagliato lo capirò, ma è molto complicato. E'molto difficile togliere. Capire fino a che punto sia possibile sintetizzare è il mio lavoro e l'essere artista mi dà la facoltà di capire qual è il limite. Quello che resta da definire è poi il modo in cui rappresentare l'equilibrio, se tramite la forma, i contenuti, i toni, i colori, ecc.
Il tuo stile sofisticato, scelto per illustrare le pagine di Vogue, da dove parte e come si è evoluto nel tempo?
Tutto parte dalla necessità quasi patologica di disegnare ogni giorno. Per me l'arte è una forma di sopravvivenza, il suo carattere mondano è secondario, l' aspetto fondamentale è che potrei non esserci, dal momento che sono le opere a parlare al posto mio. Disegno di tutto, non per esporre, il mio è un work in progress basato su parole e immagini. Non credo che riuscirei a fare lo stesso con il video o la fotografia.