venerdì 26 gennaio 2018

PETER LINDBERGH

Eva Herzigova, Nadja Auermann, Cindy Crawford, Tatjana Patitz, Karen Alexander & Helena Christensen
Catalina Beach Club, New York, USA. Vogue Italia.
© Peter Lindbergh (Courtesy of Peter Lindbergh, Paris / Gagosian Gallery)
Fino al 4 febbraio alla Reggia di Venaria attraverso un corposo corredo di immagini viene presentato al pubblico l'intenso lavoro del fotografo PETER LINDBERGH. La mostra è ideata e realizzata dal Kunsthal di Rotterdam in collaborazione con il curatore Thierry-Maxime Loriot e Peter Lindbergh.
A Different Vision on Fashion Photography è un tributo all’eterogenea produzione di Lindbergh dal 1978 a oggi, articolata su un lungo percorso suddiviso in sezioni tematiche: Supermodels, Stilisti, Zeitgeist, Danza, Camera Oscura, L'ignoto, Il grande schermo, Icone.
A partire dal video introduttivo "Models" (N.Y. City, settembre 1991, 8', b/n) con Linda Evangelista, Cindy Crawford, Stephanie Seymour, Tatjana Patitz e Naomi Campbell si possono scorgere nella scelta del bianco e nero, nella tipica modalità narrativa, le principali linee teoriche ed estetiche su cui fin dal principio l'autore ha fondato la propria attività. Davanti alla cinepresa scorrono i simboli della Grande Mela: il Chrysler Building, le strade di notte appena lavate, illuminate dai lampioni riflessi sull'asfalto, il ponte di Brooklyn, lo skyline inconfondibile dei quartieri newyorkesi, divenuti altrettante location di molti blockbuster hollywoodiani. Le stesse architetture urbane dal ruvido fascino vengono invece trasfigurate dal fotografo tedesco in scenografie adatte a celebrare la prorompente quanto minimale bellezza delle supermodelle, incarnazione di una tipologia di donna sempre più sicura di sé, a tratti spregiudicata, definitivamente consegnata alla storia recente dalla voce indimenticata di George Michael nel video  "Freedom '90".
New Yorker building, New York, 1994
© Peter Lindbergh (Courtesy of Peter Lindbergh, Paris / Gagosian Gallery)
Note soprattutto per aver immortalato e portato alla ribalta Naomi Campbell, Cindy Crawford e Linda Evangelista  - protagoniste delle passerelle d'alta moda al culmine del glamour, quasi divinizzate dall'estro creativo di Gianni Versace -, le immagini del fotografo tedesco sono prima di tutto il manifesto di un profondo impegno sociale e di militanza per la difesa dei diritti fondamentali dell'uomo e della verità d'informazione, anche quella effimera delle riviste patinate di moda.
La sezione Zeitgeist: Lo Spirito del Tempo, adibita con scaffali e raccoglitori ricolmi di immagini e materiale documentario sulle campagne etiche e sociali propugnate dall'autore in collaborazione con l'artista concettuale americana Jenny Holzer, ne rivela l'approccio umanista. Ideale di onestà intellettuale che lo porta a  valorizzare l'anima e la personalità dei soggetti, rifutando qualsiasi artificio in sede di post - produzione, in particolare il fotoritocco, sempre più frequente a partire dai primi anni Ottanta e oggi diventato consuetudine con la definitiva affermazione della tecnologia digitale. Nel numero di maggio 2016 in un'intervista pubblicata sulla prestigiosa rivista Art Forum, Lindbergh dichiara: "Un fotografo di moda dovrebbe contribuire a definire l'immagine della donna e dell'uomo contemporaneo nella loro epoca, riflettendo una particolare realtà sociale e umana. Quanto è surreale invece l'attuale approccio commerciale che punta a ritoccare e cancellare qualsiasi traccia di vita ed esperienza, perfino la verità più intima del volto stesso?"
Allestimento mostra
Foto: Silvia Cestari
Nato a Lissa (Germania) nel 1944, egli trascorre l'infanzia a Duisburg (Renania Settentrionale-Vestfalia) e, dopo aver lavorato come vetrinista per un grande magazzino, si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Berlino all'inizio degli anni 60, dimostrando da subito una certa insofferenza ai modelli classici della pittura di genere per seguire il post-impressionismo dirompente del geniale Van Gogh. Ispirato dal lavoro del grande pittore olandese, si trasferisce ad Arles per circa un anno, raggiunge in autostop la Spagna e il Nord Africa e prosegue gli studi frequentando i corsi di pittura libera alla Scuola d'Arte di Krefeld. Influenzato da Joseph Kosuth e dal Movimento Concettuale, ancora prima di diplomarsi viene invitato a esporre alla galleria avanguardista di Denise René e Hans Mayer nel 1969.
Si trasferisce a Düsseldorf nel 1971 dove comincia a dedicarsi alla fotografia lavorando per due anni al seguito del fotografo tedesco Hans Lux, fino ad aprire un proprio studio nel 1973. Una volta raggiunta la fama in patria, entra a far parte della grande famiglia di collaboratori della rivista Stern, come altri fotografi leggendari tra cui Helmut Newton, Guy Bourdin e Hans Feurer. Nel 1978 si trasferisce a Parigi per seguire nuovi percorsi di carriera: lavora con le più famose case e riviste di moda, tra cui varie edizioni internazionali di Vogue, The New Yorker, Rolling Stone, Vanity Fair, Harper's Bazaar US, Wall Street Journal Magazine, Visionaire, Interview e W. Nel 2016 è stato scelto per la terza volta, un vero e proprio record, per realizzare l'edizione 2017 del Calendario Pirelli, dopo quelle del 1996 e del 2002.
Attualmente residente tra Parigi, Arles e New York, le sue fotografie si trovano nelle collezioni permanenti di molti musei d'arte e sono state esposte in prestigiosi musei e gallerie di tutto il mondo.
Musée D’Orsay, Paris, 1983
© Peter Lindbergh (Courtesy of Peter Lindbergh, Paris / Gagosian Gallery)
È questo tipo di formazione, maturata in ambienti artistici d'avanguardia, ad aver conformato definitivamente i suoi racconti per immagini. In apparenza semplici, spontanei, realizzati con macchine analogiche (in mostra esemplari Nikon, Pentax, anche la compatta Konica), con centinaia di confezioni di pellicole fotografiche, sono in realtà frutto della raffinata cura per i dettagli, di un attento lavoro progettuale e di una quantità enorme di annotazioni, schizzi e storyboard propedeutici ad ogni fase produttiva. Descrizioni puntuali delle sessioni fotografiche consegnate alle pagine di taccuini e agende dal segno rapido, essenziale, didascalico, efficace, dal sapiente connubio fra immagini e parole, fanno di ogni esemplare un prezioso libro d'artista con un'estetica propria dal valore intrinseco.
Allestimento mostra (particolare)
Foto: Silvia Cestari
Questa metodica, tipicamente cinematografica (nel 2001 ha girato il film "Der Fensterputzer" sulla cara amica, ormai scomparsa, Pina Bausch) trova riscontro in molti ritratti, indagati secondo vari punti di vista: campo lungo, primo piano, dettaglio. È il caso del trittico dedicato a Catherine Deneuve (tratto dal reportage realizzato a Deauville in Francia e pubblicato nel 1991 su Vogue Paris), dove l'attrice posa a figura intera, porge all'obiettivo un intenso dettaglio dell'occhio e una ripresa ravvicinata del piede. Oppure il primissimo piano di Linda Evangelista, di Cindy Crawford, o l'emblematico primo piano della californiana Christy Turlington, la pelle punteggiata di efelidi, assurte a testimonial di una bellezza lontana da qualsiasi stereotipo in favore di un aspetto acqua e sapone, quasi totalmente privo di trucco, nella convinzione che "solo dopo aver eliminato la moda e l'artificio, si riesce finalmente a vedere la persona".
Dancer from Bolshoi Ballet, Moscow, 2012
© Peter Lindbergh (Courtesy of Peter Lindbergh, Paris / Gagosian Gallery)
Ancor più significativo il cortometraggio "The Reunion",  proiettato sulle neutre pareti grigio fumo, dove scorrono le immagini di shooting e interviste alle top Eva Herzigova, Karen Alexander, Nadja Auermann, modelle mature, ma ancora bellissime. La campagne "Supermodels Supernatural" e "Stars Without Make Up", del 2009, confermano quell'ideale di perfezione, non artefatto, col tempo rivelatosi nella sua autenticità proprio grazie alle rughe d'espressione sui volti di donne a proprio agio nel loro corpo, consapevoli di aver conservato l'allure, la naturale classe che le rese icone di stile negli anni ruggenti dell'alta moda internazionale.
In un'intervista del 2014 il fotografo ha dichiarato: "Dovrebbe essere questa la missione dei fotografi di oggi: liberare le donne, e in ultimo tutti gli esseri umani, dal terrore della giovinezza e della perfezione, nella convinzione che non siano i canoni della bellezza e della giovinezza a rendere una persona interessante, a dispetto dell'età anagrafica".
Un principio che si ripete con identica originalità, mai uguale a se stesso, in ogni sezione della mostra, sia negli scatti di denuncia sociale, più immediati, meno concettuali, sia nelle sezioni più sperimentali, sia nelle campagne per importanti stilisti e case di moda (Comme des Garçons, Giorgio Armani, Prada, Donna Karan, John Galliano, Jill Sander, D&G, Azzedine Alaïa, Gianni & Donatella Versace, Jean-Paul Gaultier), sia infine nella raccolta dedicata alla danza, dagli scatti più estetizzanti, ma sempre finalizzati ad esaltare l'espressività dei corpi scultorei dei ballerini (Joacquin Cortés, Vanya Vasiliev), la disciplina, la fatica nei piedi arcuati delle etoiles, la ricerca di coreografi rivoluzionari (Carolyn Carlson, Blanca Li).
Jeanne Moreau, Paris, 2003 Vanity Fair
© Peter Lindbergh (Courtesy of Peter Lindbergh, Paris / Gagosian Gallery)
Foto di celebrità si susseguono in una fittizia camera oscura, premessa alla galleria di icone senza tempo, le quali, spenti i riflettori, consegnano ai posteri il loro lato più vulnerabile (e per questo più autentico), in pose tanto semplici quanto sofisticate. Un paradosso  che  concilia la dicotomia tra finzione e realtà, dissimulazione e nudità e determina la cifra stilistica di Peter Lindbergh.
Fra i nomi noti emergono personaggi dalla forte personalità e dall'avvincente biografia quali Tina Turner, coraggiosa mentre si sporge dal traliccio della Tour Eiffel per la collezione primavera estate 1989 di Azzedine Alaïa (Vogue Italia), o intensa in un primo piano del 1996; l'enigmatica Jeanne Moreau; un trasognato Adrien Brody al Club Ed di Lancaster, California nel 2002; la sofisticata Charlotte Gainsbourg, immortalata a Parigi nel 2002 per The Telegraph; l'elegante Isabelle Huppert. Fisionomie universalmente riconosciute che, raggruppate in una sorta di quadreria, acquistano, come  gli antichi aristocratici, un'aura di immortalità: Aretha Franklin (1996), Gena Rowlands (1996), Gwyneth Paltrow; Vanessa Beecroft (2004); Janet Jackson (1998); Dennis Hopper (2004). Per terminare con gli scatti datati 2015 di Richard Gere, Alicia Vikander, Kate Winslet, Brad Pitt, Angelina Jolie; protagonsti dello star system passati al vaglio dello sguardo critico di Lindberg nel corso di una carriera costellata di trionfi professionali e di incontri fatali.
I volti popolari, idoli di una mitologia contemporanea, concludono un percorso denso di suggestivi rimandi, di valori, di ideali improntati al successo, incrinati  in questo primo scorcio di millennio da episodi scandalistici finiti, con i relativi antieroi, nella gogna mediatica. L'aura si affievolisce e introduce la tappa conclusiva dell'esposizione. Inizia un futuro tutto da riscrivere, popolato di sagome dai contorni incerti, in continuo movimento, imprigionate fra le mura della sala - novella caverna platonica - disorientate dal riverbero dei cristalli Swarovski incastonati sulla superficie di un avveniristico monolite, relitto di una civiltà in perenne evoluzione.

PETER LINDBERGH
A Different Vision on Fashion Photography
Dal 7 ottobre 2017 al 4 febbraio 2018
Reggia di Venaria - Sale delle Arti, 1° piano
Piazza della Repubblica 4, Venaria Reale (TO)
Da martedì a venerdì dalle 9 alle 17; sabato, domenica e festivi dalle 9 alle 18.30 (le biglietterie e gli ingressi chiudono 1 ora prima). Lunedì chiuso.
Per informazioni: tel. +39 011 4992333
www.lavenaria.it