Dal 5 aprile al 2 settembre 2012 la Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli di Torino ospita la mostra "Meraviglie di carta. Devozioni creative dai monasteri di clausura", in occasione dell'anteprima abbiamo incontrato la curatrice Elena Geuna.
Quali problematiche ha presentato l'allestimento di Meraviglie di carta, mostra di paperoles del VII-XIX secolo?
A livello iconografico è un mondo che ho scoperto di recente, nell'ultimo anno e mezzo, quindi ho dovuto fare delle ricerche approfondite delle poche mostre e immagini disponibili su opere devozionali di questa tipologia. La bibliografia è molto ridotta. Siamo stati molto fortunati perché abbiamo trovato una grande risorsa nella collaborazione del dott. Bernard Berthod, che è Consultore della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa ed è specializzato in questo genere di manufatti. Abbiamo catalogato tutte le opere del collezionista, che rappresenta la fonte di informazioni principale perché da vent'anni ricerca e acquista reliquiari di carta. Il lavoro più semplice è stato dividere le paperoles italiane e francesi che sono riconoscibili sia dal tipo di composizione, sia dai materiali usati: le paperoles francesi sono sicuramente più sofisticate e più raffinate di quelle italiane dello stesso periodo, del Seicento e del Settecento. Per quanto riguarda l'iconografia dei santi abbiamo consultato i dizionari agiografici e tutti i documenti disponibili ma, ad esempio, non siamo riusciti ad identificare i due prelati della bellissima coppia esposta nella sala centrale. Forse in futuro si riuscirà.
Quali aspetti della collezione si è cercato di mettere in evidenza con l'allestimento?
Abbiamo lavorato con lo Studio di Architettura Tosetti per cercare di ricreare l'allestimento così come appare nella casa del collezionista torinese, con i paperoles molto ravvicinati; abbiamo voluto presentare nelle sale principali due muri quadreria per dare un'idea di intimità e ricreare il carattere privato della raccolta.
In mostra sono presenti anche dodici fotografie di Nan Goldin, nota per le sue immagini trasgressive e fortemente calate in realtà scomode. Come si conciliano con la sua collezione di oggetti di culto cattolici?
Per me è stata la scoperta straordinaria non solo di un tipo di collezionismo, ma di un personaggio misterioso e spirituale. Nan Goldin è veramente un'anima luminosa, nel senso che il suo mondo è sempre andato di pari passo con la ricerca spirituale. Studiando le sue foto mi sono resa conto che da decenni ritrae icone di santi e soggetti religiosi, anche se sono state poco esposte, non sono state prodotte e quindi sono rimaste un fatto molto privato. Nella mia intervista in catalogo con Nan ho scoperto che fin da ragazzina era interessata all'iconografia cattolica, pur essendo stata educata da ebrea. Ci vive proprio, si circonda di queste cose: in una mostra pubblica a Parigi al Centre Pompidou nel 2007 ha presentato la sua stanza da letto della casa di Parigi, ricostruita fedelmente, con alcune delle paperoles che sono in mostra a Torino. Ha percorso tutta la Francia e tutta l'Italia alla ricerca di reliquie di Santa Barbara [che porta il nome della sorella morta suicida a soli 18 anni, ndr]. E' la sua vita spirituale che l'ha portata ad attorniarsi di questi oggetti, che la rendono serena, felice e rappresentano per lei un valore affettivo.
Da molti anni è curatrice di importanti mostre in Italia e all'estero. Quali cambiamenti ha riscontrato nel panorama artistico internazionale degli ultimi anni?
In un periodo così complesso e critico direi che la spiritualità è sicuramente in un momento in cui sta rifiorendo. Non parlo soltanto di oggetti devozionali, ma della spiritualità come immaginario collettivo contemporaneo. Seppur in maniera ironica, provocatoria dissacrante, è interessante vedere come negli ultimi cinque anni artisti importanti e giovani hanno ripreso l'iconografia religiosa, Alexandra Mir è una di questi. E' un fenomeno che mi ha colpito, su cui voglio lavorare, studiare, pensare. Sarà sicuramente un tema del futuro.
In qualità di esperta d'arte contemporanea le è mai capitato di dover sconsigliare ad un collezionista l'acquisto di un'opera?
Sconsigliare certamente è una cosa molto difficile da fare, ma bisogna farlo, qualora la mia esperienza, il mio occhio mi dica che non è nulla di nuovo, perché il contemporaneo, che è il mio settore, va guardato ricercando ciò che è nuovo. Bisogna avere anni di esperienza, di abitudine ai quadri, visitare mostre e
fiere. Più si vede più si riesce ad identificare. L'arte va vissuta personalmente, perché l'estetica è il suo valore fondante, anche se nel mondo di oggi ci sono moltissimi collezionisti che non comprano con gli occhi. L'opera deve essere vista, deve creare un'emozione, solo in quel momento diventa un'opera d'arte.